Venature

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GABRIELLA VERGARI.

E comunque non l’abbiamo più visto.
Come amo gli avverbi! Con quel modo tutto loro di speziare i verbi che affiancano, tirandone fuori sapori, colori, odori nuovi e perfino imprevedibili.
Quel comunque, generalmente in clausola alle osservazioni di mia madre, stava lì a concludere, ormai anche un po’ imbolsito e melenso, la ridda di ipotesi che nel tempo si erano fatte e ora si trovavano pure fantasiosamente stratificate ed intrecciate in un nodo che nemmeno a Gordio.
Ma  sapeva pure di sconforto e desolazione.
O forse, meglio, di  rassegnata presa d’atto d’un evento cui non si  era  mai riusciti a venire a capo.
E non si può dire che  non ci avessero provato. Tutt’altro.
All’inizio, scartata la possibilità di un malore o, perché no, perfino di un improbabile rapimento, c’era stato un corale (e non di rado compiaciuto) Cherchez la femme, che a cercarne una non si sbagliava mai. Gira e rigira, alla fine è sempre di femme la questione, che ci siano o non ci siano o siano troppo assillanti o troppo poche o solo vagheggiate, che sono anzi le peggiori e davvero possono sconvolgere la vita …
Ma, una cosa così, Alfredo non l’ avrebbe fatta mai per una donna.
Sebbene da prospettive molto diverse, sul punto erano stati piuttosto concordi.
Lo zio Salvatore, ad esempio, che ammiccava accarezzandosi un baffo, come a lasciare intendere che, sulla virilità del cognato, lui non ci avrebbe scommesso. E forse non a torto.
Libri, libri e libri, montagne, quintali, tonnellate di libri. Questo l’ avrebbe fatto andar via di casa, altro che una gonnella!
Lo assicuravano dal canto loro pure Maria e Ester, scuotendo la testa all’unisono. Lo conoscevano fin dentro al midollo e, se possibile, anche più a fondo, quel loro carissimo congiunto, col quale avevano condiviso i giochi spensierati dell’infanzia. Vero è che nel corso degli anni le loro strade si erano abbondantemente divise e l’ultima volta che si erano rivisti, a casa della nonna, risaliva a cinque anni prima della per così dire … ehm, partenza. Ma certe cose si sentono. E lui, un uomo tanto timorato, non avrebbe mai potuto lasciare la madre da un giorno all’altro, senza un biglietto, senza una spiegazione, sparendo, puff, nell’aria, manco fosse una bolla di sapone.
Per non dire del curato che, ogni volta che era stato chiamato a dire la sua, aveva ossessivamente ripetuto, vincolo della confessione a parte, di non aver mai, dico e sottolineo mai, potuto immaginare …, intuire …, presagire … Che uno certi grilli se li può aspettare da un ragazzo, non da un quarantacinquenne stimato ed affermato, affermatissimo,  per la sacrosanta verità.
E forse stava proprio qui l’inghippo. Concetta ci avrebbe scommesso la testa! La Signora, cioè mia nonna, lo trattava ancora da neonato. Stimato era stimato, ma affermato … Però lui non se ne risentiva e nei suoi trenta e passa anni in quell’onoratissima famiglia, lei, non l’aveva  mai sentito alzare la voce. Era tutto un sì, mamma e come preferisci mamma.
Aveva del resto le sue belle convenienze. A casa non muoveva un dito. Servito e riverito, manco un prete all’altare. E la Signora non faceva che provvedere a lui e ai suoi bisogni. Sembrava che gli leggesse dentro. Alfredo qui e Alfredo . Sono le sette, ti ho preparato il latte, caro. Ti ho sistemato la biancheria nei cassetti, come piace a te. Ti ho messo lo scaldino nel letto. Ti ho riordinato l’armadio. Ho risposto alla lettera che ti ha mandato il notaio. Ho detto alla tua amica di richiamare più tardi, che adesso stai lavorando…
Tanto. Di lavorare, è vero, lavorava tanto. Mille cose per le mani e più ancora in quella testa continuamente in fermento. Una grande intelligenza che sembrava letteralmente ribollire, mai quieta, mai paga. Anche su questo non c’erano dubbi. Saggi da recensire, traduzioni da consegnare, libri da leggere, un contributo quasi  finito su uno stilita bizantino.
Che? Uno stilista bizantino? Ma di che bizzarrie si interessava quel buon Alfredo!
No, no, uno stilita, uno di quelli che avevano scelto di lasciare il mondo per vivere da asceti. Su una colonna, contenti loro
E però in camera avete guardato bene? Aveva chiesto sbigottita Giovanna, giusto per non restare in silenzio e dare il suo consueto contributo anche in quella vicenda, benché le si mostrasse proprio incomprensibile. Persino più, e ce ne voleva, degli scritti di Alfredo. Un caro, carissimo figliolo, per carità. Però sempre appresso alle sue fantasie, in quel suo mondo volatile e anche un po’ astruso,  asfittico. Decisamente lunatico, ecco, una verità che luceva come una moneta d’oro sonante e sarebbe stata, come di fatto stava, sotto gli occhi di tutti se non ci si fosse tanto puntigliosamente sforzati di fingere di non vederla. Chissà che gli era passato per la testa, questa volta. Ma Augusta non se lo meritava, no davvero, quello strazio. Lei conosceva la nonna da quando, bimbette, si erano scambiate un primo timido sorriso all’ingresso del giardino d’infanzia come allora si chiamavano le materne. Ed era letteralmente  e sinceramente sconvolta, quasi quanto lei. Magari, chi lo sa, una sollecitazione, un malo pensiero, una suggestione? La mente umana è un filo di capello, lo diceva sempre quel benedett’uomo di mio padre.
Ma era giusto per dire. Figuriamoci!  La nonna conosceva ogni centimetro della stanza del figlio  e Concetta la puliva da cima a fondo con cadenza quasi giornaliera. Avevano ugualmente provato a ripassarla di nuovo a setaccio e forse, alla fine,  un  qualcosa era saltato fuori, benché anche questa si fosse rivelata  una pista senza sbocco.
Tra le carte, nascosto?, si era infatti ritrovato  l’opuscolo di un’agenzia di viaggi. Con destinazioni varie, alcune anche esotiche. Troppo banale: Alfredo detestava i paradisi fittizi, aveva commentato reciso Nicola, il collega che era quanto di più vicino ad un amico Alfredo avesse. Abbiamo sempre riso dei turisti di una settimana che credono di conoscere un luogo, dormendo in alberghi di lusso, frequentando locali alla moda e attrazioni turistiche rinomate. Di fatto, manco a dirlo, non c’era stato alcun seguito. Nessun riscontro dalle indagini faticosamente seguite alla denuncia della scomparsa. Anzi, sulle prime il commissario non ne aveva proprio voluto sentire di impiegare i suoi uomini alla ricerca di un individuo perfettamente sano di mente e in buone condizioni di salute, di cui non c’era né il corpo, né la certezza che non si fosse allontanato da casa coi suoi piedi e  di propria spontanea volontà.
Poi, impietosito dalle insistenze e dal dolore della nonna, aveva provato a controllare. Treni, navi, aerei … Nulla, assolutamente nulla. Nessun passeggero che corrispondesse alla descrizione di Alfredo, né che si fosse mai mosso dalla città nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa di mio zio.
E che dire poi della tazzina e dell’orlo di caffè sul marmo della cucina? Quando mai? Benché servito di tutto punto, Alfredo era pulitissimo e non avrebbe mai lasciato alcun segno di sporcizia. Irrispettoso. Sì, era proprio questo il termine che avrebbe usato. Irrispettoso per se stessi e per gli altri. E allora? Che ci faceva  quel segno sul marmo? Che si fosse sentito male? No, impossibile. La nonna era rincasata quasi subito e pure Concetta, dalla spesa, e l’avrebbero trovato. Che l’avesse soccorso un vicino? Assurdo! Lo avrebbero saputo immediatamente. Avrebbero visto chessò l’ambulanza o ne sarebbero state informate o l’avrebbero poi rintracciato all’ospedale. Era uno dei  primi posti dove l’avevano cercato. Inutilmente, per buona sorte, anche se… Forse la nonna l’avrebbe preferito ferito, magari lievemente, al suo fianco, piuttosto che sano ed illeso chi sa dove lontano … C’era da impazzire, da impazzire. La casa vuota, nessuna voce, nessun biglietto, e solo quell’alone di caffè sul marmo. Una dimenticanza? Un messaggio? Un codice da interpretare? E che voleva significare? A meno che non fosse subentrata un’urgenza. Sì, un qualcosa di tanto repentino e insopprimibile da dover essere assecondato subito, all’istante, così a precipizio, senza indugi, remore o ripensamenti. E al diavolo la tazzina con il suo alone di caffè!
Ma come, Alfredo che parlava di civiltà, di rispetto di sé e degli altri, di compassione e di accoglienza? Che poteva essergli capitato, tra capo e collo? Un rumore sospetto?Un guasto in cantina? Un’amnesia? Una minaccia? Un debito di gioco?Una lettera anonima? L’intruglio – questa poi – di qualche fattucchiera?
Non si dava pace, la nonna, una campana impazzita scossa dal vento, che scandiva ogni nuova proposta con i rintocchi dei suoi dinieghi. No, no, no, impossibile, Alfredo non aveva nemici, non giocava, non fumava, non beveva. Un figlio come non ne fanno più. Perfetto, vi dico, perfetto, mentre esauriva le lacrime torturandosi.
Bella forma di perfezione, era sbottato un giorno Gaetano, il barbiere,  a lasciar  consumare una madre in questo modo! E gli insospettabili sono sempre i peggiori. Certo, il signorino Alfredo era gentilissimo, puntuale, preciso fino alla pignoleria. Ma non mi ha mai incantato. Non che il perché fosse chiarissimo ma, alla fine di molti giri di parole, puntini di sospensione e reticenze allusive, si intuiva una sua qualche connessione col sapienziale contrasto tra realtà ed apparenza. E poi Alfredo si rimirava allo specchio con un fare, un fare … Ma quale fare, se a stento si preoccupava del suo aspetto e più che vestirsi sembrava coprirsi? Né amava le stravaganze,  tanto nell’abbigliamento quanto in genere  nel suo  stile di vita.
Però, a dirla come si deve, i pullover di cachemire non se li faceva mancare, ed anzi ne acquistava quattro o cinque ogni autunno, sorrideva nella tenerezza del ricordo Rosetta, la storica e solerte commessa della boutique del centro.
Già, e quelli consunti li regalava di solito a Gino, il mendicante con cui amava scambiare quattro chiacchiere ogni domenica. Ma neppure Gino era riuscito di grande aiuto. L’ultima volta avevano parlato di un certo  Dio… , Dio..  Gli brillavano gli occhi, già sbronzo di primo mattino, la fronte corrugata nello sforzo di ricordare quella razza di nome. Diogene?, gli avevano suggerito Sì, sì quello, che con la lanterna cercava l’uovo. E come no, per farlo in camicia! L’uomo cercava, l’uomo. Ma ora questo che c’entrava? Un bel tipo, non c’è che dire, quell’Alfredo a parlare di Diogene con un povero disgraziato, ubriacone.
Così, alla fine ci avevano rinunciato. A comprendere, se non a sperare.
E per questo, da allora in poi,  in tutte le case della famiglia non erano mai mancate le piante di ipomea. Erano le preferite di Alfredo ed io le ricordavo da sempre. Mio zio le curava con una dedizione tutta particolare ed anzi, poco prima che succedesse, mia madre lo aveva sorpreso a contemplarne una foglia che gli si era posata delicatamente su una mano.
Guarda, le aveva detto, non lo trovi stupefacente?
Che una foglia si stacchi dalle altre e ti si poggi addosso? gli aveva risposto lei, con un tono un po’ sfottente di cui, dopo quello che era successo, non aveva mai smesso di rammaricarsi. Ma chi avrebbe mai potuto prevedere che sarebbe andata in quel modo, che quelle sarebbero state le ultime parole tra loro? Come una specie di testamento, mi ha confidato una volta.
Certo che no, le aveva risposto stancamente mio zio, quasi gli pesasse dover spiegare tutto, anche ciò che gli sembrava più ovvio. Intendo le venature Le vedi?Quelle della mia mano sembrano confluire in quelle della foglia, come se io fossi la pianta e la pianta  me. Siamo solo natura, un tutt’uno che vive e respira insieme, senza soluzione di continuità. Mi fa pensare a Le Metamorfosi di Ovidio, hai presente quando Dafne sta per tramutarsi in alloro e “ il tenero petto si fascia di una fibra sottile, i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami…?”
No, mia madre non l’aveva presente. In quel momento aveva altro cui pensare. Ma dopo sì, altro che  se l’aveva avuto presente! L’aveva letto e riletto, più e più volte, fino ad impararlo a memoria. E l’ipomea si era a sua volta trasformata nella nostra pianta sacra: perenne, gentile e tenace come la speranza.
O come il ricordo di chi manca, fate voi.