C’è (ancora) un tempo per sognare

copertina-cominoGABRIELLA MONGARDI.

Questa non è la recensione di un libro. È la storia di quel libro, e soprattutto un ritratto dell’uomo che in quel libro viene raccontato, con garbo e discrezione, da un autore che umilmente si definisce “uno scrivano, non uno scrittore”.

L’autore, Paolo Castellino, di Paroldo (CN), appassionato di montagna e di letteratura di montagna, si era accorto che mancava una biografia di Gianni Comino, alpinista monregalese di altissimo livello, precipitato nel 1980, a ventotto anni, durante una salita tra i seracchi della Poire, nel massiccio del Monte Bianco. Ha allora contattato il CAI di Mondovì e la sorella di Gianni per avere l’autorizzazione a scrivere, ha raccolto le testimonianze di chi Gianni l’aveva conosciuto, di chi aveva arrampicato con lui, e in un anno di lavoro ha colmato quella lacuna. Il libro, dal bellissimo titolo, è stato presentato al Festival di Trento dal prefatore, Alessandro Gogna, e a Mondovì il 3 maggio da Nanni Villani, con la partecipazione di Anna Comino, Pucci Giusta, Aldo Pizzo, Giorgio Mongardi, Bubu Rossi e la proiezione di un video realizzato da Manuela Ascheri e dallo stesso Paolo Castellino.

Gianni Comino si è confermato ancora una volta un potente magnete, che ha attirato nella sala Baretti a Mondovì centinaia di persone: la maggior parte lo aveva conosciuto personalmente, come chi scrive, altri ne avevano solo sentito parlare come di uno straordinario alpinista, le cui imprese, negli anni ’70,  gli hanno dato una fama mondiale. Ma dalla serata, più che le doti tecniche e il curriculum alpinistico di Gianni, fatto peraltro di innumerevoli prime salite, prime ripetizioni e prime solitarie su itinerari prestigiosi, è emerso il carisma di Gianni, la sua capacità di coinvolgere gli altri, la sua personalità struggentemente interiore, la profondità del suo rapporto con la montagna, la sua vocazione di “maestro”. Come è stato ricordato, Gianni infondeva serenità e tranquillità, non piantava in asso nessuno, valorizzava al massimo gli altri. Con gli allievi dei corsi di roccia in cui era istruttore, con gli amici che ‘attaccava’ alla sua corda, con i clienti a cui, come guida alpina, rendeva possibile la realizzazione di un sogno, aveva una pazienza e una dolcezza infinite. Ed era sempre ‘autentico’.

Castellino ha distinto due diversi modi di andare in montagna: quello “mordi e fuggi”, di chi fa suo il veni-vidi-vici e usa la montagna come palestra sportiva, senza pensare e senza informarsi, e quello della consapevolezza, proprio di chi si avvicina alla montagna cercando di saperne il più possibile, per viverla fino in fondo. Io ne aggiungerei un terzo: quello dell’artista, del poeta – come era Gianni. Gianni dell’artista aveva la natura poliedrica, contraddittoria, inquieta, in cui coesistevano la passionalità e la razionalità, l’entusiasmo e l’ironia, la solitudine, il distacco, il bisogno di amici e di amiche…

Un artista che per realizzare i suoi sogni aveva scelto la montagna, in particolare il ghiaccio, perché sulla roccia avevano già scritto in tanti, e lui cercava un foglio bianco su cui esprimersi. Un artista che, come tutti gli artisti, era un visionario, sapeva guardare oltre l’orizzonte consueto e trasformava tutto quello che toccava… Erano gli anni della contestazione giovanile sessantottina, della “fantasia al potere”, e Gianni a modo suo è stato un sessantottino, che ha rotto con l’alpinismo tradizionale ma in maniera molto soft, senza proclami, senza clamori, con la discrezione di chi non cerca il successo esteriore, ma la felicità interiore. Come ha scritto il suo amico e compagno Giancarlo Grassi: Una storia di due uomini che, in fondo, cercavano soltanto di raggiungere la vetta del proprio “io”, con la consapevolezza di ciò che stavano realizzando in se stessi, alla ricerca di quella nostalgia di felicità che è in tutti noi.

Andare in montagna da artista vuol dire cercare un’intima comunione con la montagna e il suo mistero, essere sensibile non solo alla sua bellezza ma anche alla sua disumanità, alla sua ‘mostruosità’: vuol dire cercare fra le crepe delle sue rocce e le pieghe dei suoi seracchi quella terra di nessuno ai confini della separazione tra morte e vita, dove sfidarla ogni volta nel tentativo di ‘umanizzarla’. La posta in palio è ogni volta la più alta: la riconquista della Vita, o di una Vita più alta, quella del Mito. Per continuare a essere un Sogno. E un Maestro.

Gianni Comino (con gli occhiali) sul Corno Stella con allievi e istruttori del corso di roccia, nel 1971

Gianni Comino (con gli occhiali) sul Corno Stella con istruttori e allievi del corso di roccia, nel 1971