Progetto di scrittura creativa “Ascoltando Mondovì”

1-PresentazioneSILVIA PIO
Si scrive a volte per un impulso a raccontare oppure per fermare sulla pagina un momento che non si vuole lasciar fuggire. I motivi per scrivere sono tanti, così come lo sono le occasioni. Il Laboratorio di scrittura creativa dell’associazione culturale La Meridiana Tempo ne ha uno legato alla città che lo ospita. S’intitola “Ascoltando Mondovì” ed è diventato un progetto di scrittura.
I partecipanti si sono ritrovati a fine maggio 2012 in piazza S. Pietro e di qui si sono incamminati, nell’ora in cui la città è meno frequentata e più silenziosa, con lo stato d’animo di chi s’appresta ad ascoltare le confidenze di un amico, o le confessioni di uno sconosciuto. L’amico, il confidente, l’oratore silenzioso, più o meno familiare, era di volta in volta un angolo di strada, uno scorcio di palazzo, un’immagine scrostata, un selciato, un vicolo… E la scena che faceva da sfondo a questi messaggi, sussurrati ma anche, e c’è chi lo afferma, urlati, come notizia che vuole a tutti i costi essere ascoltata, la scena, dicevamo, non era che la nostra città. Luogo pieno di storia e carattere, che pochi hanno ancora voglia di ascoltare.
Nel silenzio della nostra camminata (la regola era che non potevamo parlare, né tra di noi né con eventuali conoscenti incontrati; chi ci ha visti fare un cenno furtivo non ci prenda per asociali e bizzarri), taccuino alla mano, abbiamo raccolto quanto la città ci ha voluto comunicare e siamo stati in grado di cogliere.
Con noi, a documentare la voce di Mondovì con un mezzo diverso, il fotografo Lorenzo Avico, che accompagna il progetto con le sue immagini.
Vogliamo ora pubblicare le confidenze della città, i suoi bisbigli e le sue urla. Questi interventi sono sì il frutto degli scritti individuali, ma sottoposti alla revisione del gruppo.
Speriamo che Mondovì sia contenta di essere stata ascoltata e non ce ne voglia se non siamo riusciti a riportare tutte le infinite sfaccettature del suo parlare.

Lorenzo Avico è nato a Torino  nel 1960. Fotografo professionista, si occupa prevalentemente di bianco e nero,  sia per la ripresa che per la stampa.
Le sue fotografie si connotano per rigore  compositivo e per la  stampa eseguita con perizia  in camera oscura;  queste caratteristiche  concorrono a creare un’immagine evocativa in cui ritrovare le atmosfere di luoghi e paesaggi ormai perduti o trasformati dal tempo.
Numerose sue opere sono presenti alla GAM di Torino ed in importanti collezioni. Vive e lavora a Torino e Torre Mondovì.    Siti di riferimento   www.lorenzoavico.it   e   www.imagevintage.it

Margutte pubblicherà a cadenza imprevedibile gli interventi di “Ascoltando Mondovì” e le fotografie di Lorenzo Avico (già ospitati dal settimanale L’Unione Monregalese nel 2012). Ecco la prima uscita.

La città straniera
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di BEATRICE
Trascino due valigie di piombo. Saltellano sui sanpietrini come bambini in cerca di equilibrio su una piazza che non conoscono. Straniera lei, straniera io. Sono qui  scesa da un treno per errore, mentre ero in corsa verso altre mete, altri spazi, mentre cercavo un’ altra città, un’ altra vita, un altro mondo. Via. Via dal vociare assordato degli aperitivi, dalla musica sguaiata di chi mi sfiora coi finestrini abbassati. Via dai passi isterici che mi rimbombano sotto i piedi. Cerco riparo dalla calura, riparo dai colori. Voglio uno spazio in bianco e nero. Uno spazio dove posare i bagagli, alleggerire il cammino.
E allora lo cerco. Attraverso un Sant’Agostino che trafigge la città come una spada, in questo venerdì pomeriggio, nell’ora più bella del giorno. Alzo gli occhi ogni tanto, attratta dalle alte persiane semiaperte. O semichiuse. Quelle persiane che si accostano nelle ore calde d’estate e lasciano le stanze in penombra. Dietro quelle chiuse, all’ultimo piano, immagino di esserci dietro e dentro, di notte, in quelle stanze, protetta dal sonno e dagli scuri che difendono dalla città di provincia.
Tiro avanti. Trascino. Scendo. Attraverso. Sento il profumo dell’acqua e vado verso l’acqua. C’è un fiume che passa per la città straniera, con tre ponticelli che lo sovrastano. Siedo sul  muretto che si affaccia sulle sue acque. Scopro che si chiama Ellero. Sudata, poso i fardelli. Delle persone che passano vedo solo le gambe. I colori sfumano. L’occhio gira verso l’acqua. Zittisco ogni voce. Solo polline sopra di me e acqua sotto di me. E in questa terra straniera, questo Ellero quieto mi accarezza la testa e mi accoglie nel suo fluire silente. Non ci sono scrosci nel tuo andare, né fermate improvvise. Semplice scorri. Ti guardo, dritto negli occhi del tuo fondale verde oliva. Ti sento, nell’odore putrido che sale fino a qui. Ti tocco, nel luccichio degli ultimi raggi di sole che rimbalzano sulle pieghe plissettate delle stoffe di cui ti avvolgi, con cui mi avvolgi. Mi dici sottovoce: “Benvenuta, resta”.  E allora ti parlo: “Prendile tu le mie valigie, svuotale un po’, lava via tutta la polvere, riempile di vestiti nuovi e poi riportamele”.
Ho perso un treno, sì. Ma forse tu lo sapevi che sarei venuta. Forse tu mi hai chiamata, ed io sono qui. A sentire te, che tutto ascolti e tutto vedi. Tutto sai e nulla sveli.