Diario di una giovinezza

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FELICE BACCHIARELLO

Ogni giorno che passa le vicissitudini vissute nel triste periodo della grande Guerra 1940/45 si presentano al mio pensiero sempre più inverosimili al punto da far dubitare talora a me stesso se effettivamente le abbia vissute o solamente sognate o lette, per cui ne ho voluto tentare un ben misero sunto.
Esposizione senza tinta, sconnessa e senza relazione di tempi; frasi e periodi di cui nessuno sarà certo in grado di fare l’analisi logica, e per di più pedanti.

Certo sono però che chi fosse spinto dalla curiosità di leggerlo non lo farebbe a scopo letterario, perché sarebbe assurdo, come assurdo sarebbe chiedere penicillina in un negozio di ferramenta.

Avrei almeno desiderato sapere descrivere per poter far meglio intendere il mio pensiero, potere oltreché palesare la sofferenza della mia gioventù, di quelli che avrebbero dovuto essere i più gai e spensierati anni della mia vita, anni i quali Dio solo sa quanta salute ed energia mi abbiano tolto, gridare il mio rammarico per tutto quel tempo perduto, speso in sacrifici inutili e dannosi allo spirito, superiori di troppo a quanto sarebbe stato sufficiente; anni vissuti troppo a somiglianza della bestia, sempre e ovunque inseguita.

Chi abbia a leggere le seguenti pagine sappia almeno comprendere quanto dolore e quanto rammarico alberghino nel mio povero cuore, anche se a tutto questo faccia contrasto la facilità di sorriso sulle mie labbra, mentre il tutto ha avuto triste influenza sullo spirito, cosa di cui perfettamente mi accorgo.

“Giovinezza, giovinezza cara
luce del mattino, alba fiorita
altro non sei che ricordanza amara
altro non fosti che inganno della vita” (1)

Scagnello 1949

I

Oggi, 8 novembre 1929

Oggi, 8 novembre 1929 sono arrivato a Vallecrosa, ho fatto l’iscrizione alla V elementare presso i Salesiani del luogo. Trascorsi tutto l’anno scolastico presso i Salesiani. Al ritorno rimasi sino all’autunno in famiglia, poi mi recai a Penango Monferrato nell’Istituto Salesiano San Pio V ove frequentai fino alla quarta ginnasio tra la monotona e solita vita di collegio.

Per esaurimento organico fui inviato a casa ove rimasi un anno per non far più ritorno al luogo di provenienza. Nell’anno 1937 fui a Savona presso i Salesiani nuovamente. Presso l’Istituto Mag. Giuliano della Rovere ottenni la ammissione al Mag. Sup., ultima tappa della mia lotta con i libri.

Il 9 novembre fui chiamato alle armi. Venni assegnato al 3^rgt. Alpini batt. Fenestrelle in Pinerolo ove frequentai il corso V.O.

Qui incomincia la disciplina, volgarmente detta Naia Alpina; dura e spietata vita di sacrificio sotto tutti gli aspetti, sia morali che materiali.
Campi invernali su per le irte cime delle Alpi, incantevoli per il sollazzo dei gitanti, ma calvario e martirio dei poveri soldati sotto il pesante fardello dello zaino e delle armi.
Solo chi vi è passato può immaginare e capire l’insieme dei sacrifici che questa vita comporta. Notti insonni in miseri rifugi Alpini, se d’inverno, sotto la tenda, se d’estate, sdraiati su poca paglia, il più delle volte addirittura senza, bagnati dalla neve calpestata per ore ed ore di marcia in zone in cui non esiste segno di vita umana, affamati di alcunché di caldo ed invece, quando ancora è possibile averlo, tempo permettendolo, un tozzo di pane asciutto, talvolta con una esigua razione di companatico.
Tutto sta nel non lasciarsi prendere dallo scoraggiamento di morale: e così si tira avanti girando sul ridicolo il sacrificio che un momento prima magari ci aveva fatto, vorrei quasi dire, se osassi, piangere, ed allora tutto passa. Una volta passato non sembra nemmeno più vero e quasi si è orgogliosi di aver superato tali prove.
Mete, calvario e testimoni di queste peripezie di recluta imberbe sono state per prime le montagne della Val Pellice, Susa, Chaberton, Ulzio e sovrastanti monti, Sestriere, Bardonecchia, Castore e Polluce, dal Monte Rosa al Monviso.
Certo non tutti i giorni sono uguali, non tutti i giorni si maledice il destino perché in taluni giorni, sia d’estate che d’inverno, su quelle monumentali vette che si innalzano come giganti verso il Cielo, quasi a volerlo sfidare, si godono delle visioni, dei panorami incantevoli che mente umana migliori non potrebbe immaginare.
Chi mai non rimarrebbe commosso allorquando dalle vette del Monte Rosa possa dominare con lo sguardo la sottostante Val Dora con il fiume che scorre in mezzo ai pittoreschi casolari valdostani, visione che supera di gran lunga aspettative e immaginazione.
Lassù innanzi a così superbe e meravigliose visioni panoramiche che non solo hanno nulla da invidiare alle marine più belle della più bella Italia, ma le superano senza paragone di sorta, ci si sente migliori.

Vorrei essere poeta e descrivere a vivi caratteri le bellezze palesi e recondite che in sé racchiudono quelle belle vette nevose, potere esprimere in modo conciso e reale tutta l’emozione e l’orgoglio che si prova su quelle alture ove uno si sente un Re, dominatore delle bellezze che l’occhio suo sta contemplando.
Che incantevole cosa sarebbe poter descrivere degnamente un tramonto in una splendida sera, visto da una di quelle vette! La imponenza dello spettacolo non solo commuove ma inorgoglisce e rende superbo lo spettatore che non si stanca mai di contemplare e vorrebbe che una simile visione non fosse mai offuscata dalle sopraggiungenti tenebre che interrompono l’incanto per far piombare il tutto in un sacro silenzio interrotto solo di tanto in tanto dal rumore di una valanga che scende a valle, o dal roteare dei sassi che staccandosi dalle pareti rocciose vanno a infrangersi contro i macigni sottostanti. Purtroppo spesso la montagna è traditrice e non manca di causare strazianti scene di morte e lutto.
Ricordo la valanga in Val Cismon che portò la morte a ben 24 alpini che furono sepolti oltre cento metri di neve e slavina e ritrovati in seguito a faticose ricerche di uomini e cani dopo parecchi giorni.

Nella primavera del 1940 fui trasferito al 1^ rgt. Alpini con sede a Mondovì ed inviato al Distaccamento del ridente colle di Pianvignale, sulla strada di Frabosa, meta delle nostre brevi marce.
Ivi si trascorse un periodo piuttosto tranquillo fino al trasferimento ad Entracque, a sinistra di Valdieri. Colà ci colse l’infausto evento che tanta rovina portò alla nostra Patria, fece spargere tanto sangue; a giovani pieni di vita e di speranze fu apportatore invece di morte; fiumi di lacrime di madri, spose, sorelle, figli, ed innumerevoli cuori di graziose fanciulle, che ansiose attendevano di unirsi al cuore adorato e videro spietatamente stroncato il loro sogno dalle tristi conseguenze di quel mai abbastanza aborrito 19 giugno 1940, allorché il tuono satanico del cannone cominciò a rimbombare con selvaggi e sinistri boati nella quiete dei valloni alpini italo-francese.

1 Versi di Renato Fucini (1843-1921)

(Continua)

Si ringrazia la famiglia Bacchiarello per la concessione del testo e delle fotografie.