Borges e le metafore delle “Mille e una notte”

Borges

GABRIELLA MONGARDI.

Nel 2016 cadeva un anniversario letterario che Margutte non può passare sotto silenzio: i trent’anni dalla morte di Jorge Louis Borges (Buenos Aires 1899 – Ginevra 1986), uno dei massimi scrittori della letteratura mondiale di tutti i tempi, uno degli “immortali”, per citare il titolo di un suo racconto – anche se non è mai stato insignito del Nobel, forse perché la sua letteratura, apparentemente, ha più a che vedere con i libri che con la vita…

Pure, come spiegare il fascino che Borges da vivo ha esercitato soprattutto sui giovani, che si accalcavano per ascoltare le sue conferenze, non certo spinti soltanto dalla curiosità per il poeta vecchio e cieco? Forse vedevano in lui un maestro, un guru, forse intuivano che l’artefice di una così complessa letteratura – che magari conoscevano appena – poteva possedere una via alla verità, e si attendevano dalle sue parole una ‘rivelazione’ che andasse al di là della letteratura; di certo erano affascinati dal suo ricercare nelle letterature di tutto il mondo il ‘senso’- il senso della letteratura, del mondo, del nostro essere al mondo. Allo stesso modo noi oggi, leggendo le sue opere, vi troviamo parole estremamente raffinate sì, ma allo stesso tempo facili, leggere, semplicemente e dignitosamente umane, parole che sono sostanza, che ‘dicono’ e ‘insegnano’ e quindi  ‘danno’ tantissimo al lettore…

Non è mia intenzione cimentarmi in un discorso complessivo su Borges: sarebbe un’impresa a dir poco temeraria, perché è vero che lui dice “altri si vantino dei libri che hanno scritto, io di quelli che ho letto” (Elogio dell’ombra), ma in realtà Borges non solo ha letto un numero infinito di libri, ne ha anche scritti tantissimi, tra saggi, poesie, racconti… senza farsi scrupolo a mescolare i vari generi letterari, perché – come lui stesso dice, nell’introdurre le sue Opere complete: «La prosa convive con il verso; forse per l’immaginazione entrambe sono uguali. Felicemente non apparteniamo ad una sola tradizione; possiamo aspirare a tutte».

Proprio la mescolanza di alto e basso, la contaminazione di storico e fantastico, l’incrocio delle tradizioni e dei generi letterari è uno dei suoi tratti più caratteristici, più profondamente innovativi e originali: così i suoi racconti sembrano saggi, le poesie racconti, i saggi di critica letteraria hanno una tensione lirica da brivido, in un rimescolamento di carte che spiazza il lettore, lo disorienta, lo sfida a leggere, rileggere, rileggere ancora, per raccapezzarsi in qualche modo in quello che sembra da subito un labirinto, un gioco di specchi, di rimandi continui, ossia l’opera omnia del genio immortale conosciuto al mondo con il nome di Jorge Louis Borges.

Il numero di opere scritte da Borges è immenso: vorrei almeno elencarle, citando i titoli e l’anno di pubblicazione, come compaiono nell’indice dei due volumi dei “Meridiani” Mondadori che le raccolgono, con il titolo Tutte le opere, per la curatela di Domenico Porzio (Milano, 1984-5).
Le prime opere scritte da un Borges poco più che ventenne sono Fervore di Buenos Aires (1923), Luna di fronte (1925), Quaderno di San Martín (1929) – tutte poesie di argomento soprattutto argentino.
Negli anni Trenta è il passaggio alla prosa: Evaristo Carriego (una biografia “inventata”, 1930), Storia universale dell’infamia (racconti “falsificati”, 1933), e i saggi, a carattere divagante, di Storia dell’eternità (1935). Agli anni ’40 risalgono i racconti di Finzioni (1944) e L’Aleph (1949), nel 1952 scrive i saggi di Altre inquisizioni.
Con gli anni ’60 compaiono raccolte miste di poesia e prosa: L’artefice (1960), Elogio dell’ombra (1969), ma anche di nuovo due raccolte esclusivamente poetiche: L’altro, lo stesso (1964) e Per le sei corde (1965).
Agli anni ’70 appartengono i racconti: Il manoscritto di Brodie (1970), Il libro di sabbia (1975), Tre racconti (1977), i saggi di critica letteraria Prologhi (1975), altre raccolte di poesie: L’oro delle tigri (1972), La rosa profonda (1975), La moneta di ferro (1976) e di nuovo un libro misto di poesie e prose, Storia della notte (1977).
Gli ultimi testi inclusi nei due volumi dei “Meridiani” sono degli anni ’80: La cifra (1981), misto di prosa e poesia, i Saggi danteschi (1982) e le pagine di viaggio di Atlante (1984), l’ultima delle quali si intitola Della salvezza con le opere e si conclude con le parole “Così per opera di un haiku la specie umana si salvò” – un atto di fede totale, assoluta nella forza della Poesia.

Ma leggendo e rileggendo l’insieme delle opere borgesiane si ha la netta sensazione che si tratti di un unico libro, di un’unica opera, in cui ritornano costantemente, ossessivamente gli stessi temi; Borges stesso del resto, nel prologo a L’altro, lo stesso (“quello che preferisco dei molti libri di versi che la mia rassegnazione, la mia negligenza e talora la mia passione sono andate abbozzando”) ci avverte, sornione: «È mia consuetudine scrivere la stessa pagina due volte, con variazioni minime».

Questo autorizza il lettore a muoversi arbitrariamente all’interno del corpus borgesiano, perché da qualunque parte se ne cominci la lettura si è sempre al centro, si ha sempre l’impressione (o l’illusione…) di avere in mano il filo d’Arianna che ci permetterà di penetrare nel labirinto borgesiano senza smarrirci, di aver trovato la chiave per orientarsi tra libri e biblioteche, scacchi e spade, rose e tigri, sogni, specchi, labirinti – che sono gli strumenti dell’incessante ricerca di senso dell’autore, gli elegantissimi, misteriosi emblemi dei temi ricorrenti nella sua meditazione: il tempo, l’eternità, l’infinito, il doppio, la metafora, il teorema di Gödel, i paradossi e le aporie logiche, il nominalismo… In una parola, Borges trasforma in poesia (narrativa o lirica non importa) idee e concetti che sono delle autentiche “perle” del pensiero e della cultura. 
Non solo: in qualunque testo di Borges è contenuto tutto Borges, in base al celebre principio cusaniano che “il Sole è il Tutto come Sole”, ogni punto dell’universo è l’intero universo…

In queste sede prenderò in esame soltanto la poesia (?) Metafore delle Mille e una notte, appartenente alla raccolta Storia della notte: un testo vertiginoso, in quanto è un saggio di critica letteraria in endecasillabi sciolti (un poema didascalico, dunque?) – 72 versi, raccordati con la tecnica dell’enumerazione, “uno dei procedimenti poetici più antichi”. «Il suo merito essenziale – precisa Borges in Discussione - non è la lunghezza, bensì il delicato accordo verbale, le “simpatie e differenze” delle parole».  E in Storia dell’eternità dichiara: «È possibile che l’insinuazione dell’eterno – dell’immediata et lucida fruitio rerum infinitarum – sia la vera causa di quel piacere speciale che ci procurano le enumerazioni».

La prima metafora è il fiume.
Le grandi acque. Il cristallo vivente
che custodisce le care meraviglie
che furono dell’Islam e oggi
sono tue e mie. L’onnipotente
talismano che è anche uno schiavo;
il genio confinato dentro il vaso
di rame dal sigillo salomonico;
il giuramento di quel re che consegna
la regina di una notte alla giustizia
della spada, la luna, che sta sola;
le mani che si lavano con cenere;
i viaggi di Simbad, quell’Ulisse
sospinto dalla sua sete di avventura,
non punito da un dio; la lampada;
i simboli che annunciano a Rodrigo
che gli arabi conquistano la Spagna;
la scimmia che rivela di essere uomo
giocando a scacchi; il re lebbroso;
le alte carovane; la montagna
di calamita che fa affondare la nave;
lo sceicco e la gazzella; un orbe fluido
di forme che variano come nubi,
soggette all’arbitrio del Destino
o del Caso, che son la stessa cosa;
il mendicante che può essere angelo
e la caverna che si chiama sesamo.
La seconda metafora è la trama
di un tappeto, che propone allo sguardo
un caos di colori e di linee
irresponsabili, un caso e una vertigine,
ma un ordine segreto lo governa.
Come quell’altro sogno, l’Universo,
il Libro delle notti è fatto
di cifre tutelari e di abitudini:
i sette fratelli e i sette viaggi,
i tre cadì e i tre desideri
di chi guardò la Notte delle Notti,
la nera chioma innamorata
in cui l’amante vede tre notti congiunte,
i tre visir e i tre castighi,
e sopra le altre la prima
e l’ultima cifra del Signore; l’Uno.
La terza metafora è un sogno.
Agareni e persiani lo sognarono
nel portoni del velato oriente
o nei verzieri che ora son di polvere
e seguiteranno a sognarlo gli uomini
fino all’ultimo giorno della vita.
Come nel paradosso dell’eleate
il sogno si disgrega in altro sogno
e quello in altro e in altri, che tessono
oziosi un ozioso labirinto.
Nel libro è il Libro. Senza saperlo,
la regina narra al re la già obliata
storia dei due. Affascinati
dal tumulto di precedenti magie,
non sanno chi sono. Continuano a sognare.
La quarta è la metafora di una mappa
di quella regione indefinita, il Tempo,
di quanto misurano le ombre graduali
e il perpetuo logorio dei marmi
e i passi delle generazioni.
Tutto. La voce e l’eco, ciò che guardano
i due opposti volti del Bifronte,
mondi d’argento e mondi d’oro rosso
e il lungo vegliare delle stelle.
Dicono gli arabi che nessuno può
leggere fino alla fine il Libro delle Notti.
Le Notti sono il tempo, che non dorme.
Continua a leggere finché muore il giorno
e Sharazad ti narrerà la tua storia.

Qui troviamo una doppia enumerazione.La cornice è costituita da un’enumerazione numerica, quella delle quattro metafore delle Mille e una notte che Borges individua: il fiume (vv.1-27), la trama di un tappeto (vv.28-43), un sogno (vv.44-58), una mappa del Tempo (inutile dire che sono tutte metafore profondamente borgesiane e realizzano una mise en abîme del libro). Per ciascuna metafora Borges elenca, alla rinfusa, elementi delle Mille e una notte: la “caverna che si chiama sesamo”, il genio della lampada, Simbad il marinaio, la scimmia che gioca a scacchi, la montagna di calamita, “i sette fratelli e i sette viaggi”, “i tre visir e le tre punizioni” e, ovviamente, Sharazad. Progressivamente, metafora dopo metafora, il suo discorso slitta dal piano culturale a quello metafisico: i racconti all’inizio vengono definiti “le care meraviglie che furono dell’Islam e oggi sono tue e mie”; poi se ne evidenzia la struttura apparentemente caotica ma in realtà governata “da cifre tutelari e da abitudini”. Con la metafora del sogno Borges sembra accennare al problema delle fonti anonime, della tradizione orale da cui i racconti delle Mille e una notte sono scaturiti, ma in realtà allude a ben altro tema, quello dell’inconsistenza: del libro, dell’identità, della Storia, del Libro. E l’inconsistenza si collega all’ultima metafora: le Mille e una notte sono per Borges una mappa del Tempo: “Le Notti sono il Tempo, che non dorme”, che ci trasforma, che ci sommerge.

Non resta perciò che leggere: leggere le Mille e una notte e leggere Borges. Perché tutti i grandi libri ci narrano la nostra storia: non sapremmo chi siamo, se qualcuno non ci raccontasse a noi stessi.