Tra peccati e virtù: la lussuria

Giordano-Bruno

FRANCO RUSSO.

SEDUTA DEL TRIBUNALE SPECIALE DEL SANTO UFFIZIO CONTRO IL CONVENUTO

            Filippo Giordano BRUNO

Roma, 15 dicembre 1599

Il Presidente del Tribunale si rivolge all’imputato:

Fratello, così vi chiamo ancora nella speranza che i  voti che vi consacrarono nell’esercito di San Domenico abbiano un minimo di incidenza sulla vostra anima e vi aiutino a salvarla. I vostri peccati di eresia sono noti ed acclarati, così la vostra testarda e sacrilega lettura del mondo. A vostro disdoro ve ne ricordo solo alcuni: avete osato affermare che l’Universo sia infinito; avete negato che la Terra sia, al centro dell’Universo, immobile; e avete sostenuto che l’uomo possa, da solo e senza mediazioni, raggiungere il pensiero divino. Avete preso e deposto i voti, avete inquinato le menti ed i cuori dei giovani di Roma, Savona, Torino, Padova e Venezia. Ma anche di Ginevra, Lione, Parigi, Londra, Praga e Francoforte. E per questo siete già stato condannato. Ma oggi siete qui per rispondere di un peccato che agli sciocchi appare meno grave ma che, invero, lo è di più perché mortifica il corpo e l’anima non solo di quel Diavolo travestito che siete voi ma anche quelli, in partenza innocenti, di fanciulle ignare, dei loro sposi, dei loro figli. Siete accusato di aver frequentato, pervicacemente, la lussuria e la lascivia. Avete avuto l’ardire di paragonarvi al Re Salomone affermando che le mille donne da lui possedute sieno state meno di quelle possedute da voi. E le testimonianze fin qui raccolte non inducono a pensare che si sia trattato di pura vanteria. È vero che voi, con l’abito talare o senza – credo più spesso senza per ragioni pratiche – vi siete giaciuto e carnalmente congiunto con femmine fanciulle, maritate, impegnate, libere, consacrate allo stato monacale, giovani e meno giovani in numero spropositato. Questo Santo Uffizio ha deciso di fornirvi quest’ultima possibilità di pentirvi. Acclarati, ormai, i fatti vi faremo ascoltare voci che vi inducano al pentimento e, nella nostra infinita generosità, abbiamo deciso di concedervi, se, incredibilmente, ve ne siano, voci in vostra difesa.  Per orientare la discussione apriamo il dibattito con una puntuale descrizione del vostro orrendo peccato. Parli l’illustre studioso Niccolò Tommaseo.

Lussurioso: uomo incarnato a carnali brutture. Lascivo è meno, così come l’apparenza e la dimostrazione della cosa è men della cosa, contuttochè paja talvolta più. Ma il minor male con più scandalo è mal peggiore. Il lussurioso si dà a’ piaceri per impeto di temperamento mal frenato, anzi fomentato dall’abito. Lussuria: abito colpevole a’ colpevoli piaceri del senso.

La parola è, adesso, concessa al vostro difensore.

Onorevole Tribunale: sono Gabriele D’Annunzio, difensore dell’imputato. Parlerò dopo ma, intanto, lascio la parola a Shakespeare con la voce di Amleto:

O inferno ribelle, se puoi ammutinarti nelle ossa d’una donna matura, che la virtù stessa sia come cera al cospetto della fiammeggiante giovinezza, e si sciolga al calore del suo stesso fuoco.

Ma se lo volete in versi:

Nel tentativo, beatitudine; sciagura, a prova fatta;
un sorridente sogno, prima e, dopo, una chimera.
È una cosa che chiunque sa bene; e nessuno sa bene
Sottrarsi al cielo che conduce gli uomini in tale inferno.

E ancora, Onorevole Tribunale, dica il grande poeta Fabrizio De Andrè:

Mentre lui le insegnava a far l’amore…lei gli insegnava ad amare.

E il grande Dante:

Quali colombe dai disio chiamate…  dico colombe;  amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende…dico cor gentil; amor ch’a nullo amato amar perdona…dico amato, amar, perdona; la bocca mi baciò tutto tremante… dico tutto tremante.

Onorevole Tribunale, parole lussuriose, lascive o dolci, tenere e d’amore?

Sono Paolo di Tarso ed è pur vero che  questo peccatore, vittima e carnefice di femmine, è, forse, più vittima che carnefice. Infatti, come ebbi a scrivere,  “ non permetto alla donna di insegnare né di comandare all’uomo ma essa deve tacere. Infatti Adamo fu plasmato per primo e non fu lui a tentare Eva ma la femmina a farlo cadere nella trasgressione” E dissi ancora “ È cosa buona per l’uomo non toccare donna, tuttavia, per il pericolo dell’incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie ed ogni donna il proprio marito. Perché melius est nubere quam uri”. Invoco, quindi, qualche clemenza per questo peccatore più vittima dei suoi sensi malati e delle femmine che carnefice delle stesse.

No, Sacro Tribunale, no. Sono Agostino d’Ippona e, per condannare questo mostro diabolico basterebbe rifarsi alla Genesi quando Eni, moglie di Putifarre, tentò di sedurre il giusto Giuseppe. Lui, proprio perché giusto la respinse e, piuttosto di peccare, affrontò il processo ed il carcere per la sua calunniosa accusa di averla violata carnalmente. Ma Giuseppe era un Giusto e costui un Ingiusto.  Nelle mie Confessioni ho definito la lussuria di cui è preda costui come “la regina crudele che stende il suo scettro dominatore per soggiogare mente e cuore dei viziosi”.  

Onorevole Tribunale, quale difensore dell’imputato, vorrei, intanto, prendere in esame le testimonianze fin qui acquisite. E dunque il lussurioso, posto che il mio cliente lo sia, è vittima del proprio temperamento. Vittima dico. E dice anche l’illustre Tommaseo. Ma poi, e lo dimostrano gli interventi, fu vera lussuria? O non piuttosto amore, tenero sentimento che prima prende gli occhi alla vista dell’amata, poi scende al cuore creandovi un tumulto e, infine, scende, ahimè, al di sotto della cintola misurando la debolezza delle carni. Avete ascoltato illustri testimoni dai quali mi pare si ricavino fondati elementi di difesa. Non un lussurioso e lascivo amante ma un tenero filogino, un benefattore delle donne. In realtà quest’uomo mi ricorda me: sono certo che abbia letto i miei versi, i miei romanzi, il mio “Piacere” e, probabilmente, non è stato Salomone il suo Mentore ma proprio io. E come me, consapevole di avere nella testa, nel cuore, nei pensieri e nelle parole dei doni preziosi ha deciso, come il Sole, di illuminare e scaldare la Luna.

Onorevole Tribunale, scartate vita, opere ed esperienze dei cicisbei millantatori, Giacomo Casanova e Giuseppe Balsamo più noto come Cagliostro, avrei voluto presentare un’ultima testimonianza da parte di un Fratello che può essere, con me e Giordano, terzo “tra cotanto senno”: Abelardo e, perché no?, anche l’amata Eloisa.  Ma non sono riusciti ad arrivare a Roma per le difficoltà del viaggio. Per questo, nel chiedervi la piena assoluzione per il mio cliente, vi leggerò, con qualche commozione, il brano di una lettera di Eloisa ad Abelardo. Da questa, se vorrete, avrete tutti gli elementi per la giustizia.

Adorato Abelardo,
tutti si precipitavano a vederti quando apparivi in pubblico e le donne ti seguivano con gli occhi voltando indietro il capo quando ti incrociavano per la via. Quale regina quale donna potente non invidiava le mie gioie ed il mio letto? Avevi due cose, in particolare, che ti rendevano subito caro: la grazia della tua poesia ed il fascino delle tue canzoni, talenti davvero rari per un filosofo quale tu eri. Eri giovane, bello, intelligente.

Ecco, onorevole Tribunale, quante lettere uguali a questa, quanti appassionati discorsi, quanti languidi sguardi, quante mosse maliziose avrà dovuto subire, sì subire, il mio cliente? E quante volte si sarà negato? E se qualche volta ha ceduto lo si deve ad un temperamento appassionato ed ad un cuore nobile e generoso. Assolvetelo.

POSTFAZIONE.

Come è noto il povero Filippo Giordano Bruno fu pienamente assolto dall’accusa di aver praticato la lussuria ma condannato alla pena capitale come eretico. Ma, nella livida mattina del 17 febbraio 1600, mentre il carretto dei condannati lo portava a Campo de’ Fiori dove sarebbe stato bruciato, un frate che, invano, gli stava addosso per raccogliere parole di pentimento, lo sentì brontolare:

Mi avete condannato come eretico, avete condannato la mia filosofia, la mia teologia, la mia astronomia, il mio insegnamento ma sono certo che voi, omuncoli, tra qualche anno sarete degli ignoti mentre il mio pensiero, la mia fierezza, la mia intelligenza, il mio genio  sopravviveranno per molti secoli e, prima o poi, io avrò ragione e voi torto. Ma il pensiero che mi rende meno triste questo giorno è che quella lussuria che per voi è peccato immondo in realtà è un bel divertimento ed io mi sono molto divertito. Con le vostre monache, con le vostre figlie, con le vostre mogli e mi fa molto ridere che mi abbiate assolto dall’unica colpa che, nel vostro modo di intendere la vita,  ho davvero avuto. Innocente per quello per cui mi avete condannato e colpevole per quello per cui mi avete assolto. Prosit.