Spettri e radiologie del tempo

GIULIANA MANFREDI (a cura)
Poesie di Magali Alabau

PRIMO ATTO
(Frammento)
Perché una canzone,
un volto, ci scaraventa in un passato
che non si può rivivere?
Appari in frammenti di sogni,
prendi vita per un attimo.
Quando mi sveglio, sento il tuo amore.
Un amore che deve svanire,
che non può ricrearsi durante il giorno
perché è come evocare un morto.
Un morto che scava fosse nel petto,
vuoti profondi di vergogna.
Riconoscermi nei tuoi baci,
un tocco magico per poter andare avanti,
per alzarmi e cibarmi di stelle.
Quel che sono stato dopo, che ho cercato
negli spettri e radiologie del tempo,
è stato pretendere di odiarti e odiare tutto.
Siamo entrambi pronti a morire,
i tuoi occhi mi perseguitano fino alla fine.
Il tuo sguardo mi fece scrivere una parola,
poi una seconda, che fosse migliore o peggiore.
Le tue pupille furono labirinti in cui incontrarsi,
una storia si unì con l’altra.
In ognuna il desiderio si è svuotato
lasciando un po’ di te in ogni forma.
Tu, adesso, con occhi azzurri o grigi,
io, urlando improperi,
per questo prurito costante di vita.
Uno deve confessare alla fine,
trovare la forza per recitare gli ultimi versi dello script*.
Toccare il cuore una volta ancora, lasciarlo andare.

*copione

***

SECONDO ATTO
(Frammento)

Chi piange quando le foglie cadono,
quando l’acqua le sommerge
e impastano la terra
cullando vermi moribondi?
L’inverno ha colori che dimentichiamo.
Il rosso che urla,
il giallo malato,
il nero che è cenere.
Anche se si hanno in testa tanti mondi,
solo uno è quello che si abita,
ci toglie un litro di sangue,
ci stampa una foto di profilo e di fronte,
ci prende le impronte digitali.
Uno passa di fila in fila,
dando all’attesa un altro nome.
Misuriamo quel che ci manca
per una libertà senza condizioni.
Un colloquio in più, qualche dichiarazione,
giuramenti in altre strutture.
Dopo tanto processarci
non ci resta nulla dei sogni.
Dicono che sognare non costa,
io direi, senza pensare, costa la vita,
i minuti persi, lo strapazzo,
le piccole bugie.
Inventiamo personaggi inesistenti,
dichiararli, impossibile.
Si stanca uno dei tanti pezzetti,
pensare ad altro, saltare a un altro capitolo.
Recitare nel teatro dei teatri,
cercare un palcoscenico e non un appartamento.
I mobili sono i props*,
il tavolo che buttarono per strada,
una sedia senza gambe, così sperduta
tra moltitudini e disprezzi.
Allora si giustificherebbero i frammenti,
i rompicapo prenderebbero forma.
Il teatro tira da un lato, ti piega,
e ti fa crescere le ciglia.
Ti tinge di biondo,
ti fa nero un occhio e l’altro.
Sei tu, sono io, a recitare.

*arredi di scena

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MAGALI ALABAU (Cienfuegos, Cuba 1945)
Nota poetessa cubana, residente a Woodstock, New York, dal 1966. Autrice di dieci raccolte di poesia:Electra, Clitemnestra (1986), Laextremaunción diaria (1986),Ras (1987), Hermana (1989), Hermana / Sister , (Bilingüe1992), Hemosllegado a Ilión (1992 e 2013), Liebe (1993),Dosmujeres (2011), Volver (2012) e Amor fatal (2016).
Per il poeta cubano Manuel Adrián López «Magali Alabau non ha scritto un libro comune sull’amore, eppure sin dai primi versi si avverte quel gusto agrodolce proprio del sentimento e del pensiero… Lei rende poesia un’epoca… Possiede il dono di saper intersecare magistralmente frammenti di sogni sporadici e rumori di una città che divora, mostrandoci, pur restando dietro le quinte, un mondo sfocato tra il ricordo e la favola».
I versi scelti sono tratti dalla raccolta Amor fatal di Magali Alabau, Prologo di Manuel Adrián López, Collana Betania de Poesía 2016, diretta dal poeta cubano Felipe Lázaro, che sin dalle sue prime edizioni fa parte dell’organizzazione degli Encuentros de Poetas Iberoamericanos.

copertina

Estratto da Crear en Salamanca dell’8 luglio 2016

Traduzione di Giuliana Manfredi

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