Stardust Memories

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LORENZO BARBERIS

(Considerazioni sulla visita alla mostra “Polvere di stelle”, seconda edizione: per la recensione più “oggettiva” vedere qui).

Il Museo della Ceramica di Mondovì ha tutte sale meravigliosamente affrescate, ma una in particolare mi suscita una monregalese sindrome di Stendhal: quella che effigia la Caduta di Fetonte. Il mito non è probabilmente presente a caso: il Palazzo era di proprietà della famiglia Fauzone, che ne fa realizzare la facciata e i decori interni settecenteschi (come questo), e il mito è quello ripreso dai Savoia nel Rinascimento per sottolineare l’eccezionalità della dinastia (siccome Emanuele Filiberto nasceva nel 1529 d.C., il Pingone collocava simmetricamente la caduta di Fetonte nel 1529 a.C.).

Dalla tomba di Fetonte, sul luogo della sua caduta col carro solare, sorge infatti l’antica Taurasia, l’attuale Torino, scelta come centro dalla dinastia. Per scherzo, nel mio “I misteri di Mondovì”, ho ipotizzato che anche la mia città potesse prestarsi a questa rilettura; i Fauzone ovviamente riprendono il mito come nobili genericamente sabaudi.

Una “caduta fetontica” è poi davvero ospitata nel palazzo, nel 1809, quando il palazzo accoglierà Pio VII prigioniero di Napoleone, verso la sua prigionia (evento considerato, da alcuni protestanti, segno apocalittico della caduta dell’odiato potere papale). Ma questo ci porterebbe lontano.

“Polvere di stelle” ha già avuto una passata edizione monregalese, di cui avevo scritto qui. Un pezzo forte della mostra era stato quello di Boursier, una interessante ceramica sonora che mi aveva ricordato le Ninfee di Monet.

Nella mostra di quest’anno, invece, è il lavoro fotografico di Franco Vimercati (il “ciclo della zuppiera”, 1983-1992, in 99 variazioni da Queneau minimalista), ospitato presso il Circolo di Lettura, a ricordarmi Monet, e in particolare i suoi studi di luce sulla cattedrale gotica di Rouen (che proposti tutti insieme come nell’immagine qui sopra, ricordano anche le serigrafie pop di Warhol, che sono però tutta un’altra storia).

La stessa zuppiera è stata ripresa in molteplici situazioni di luce diverse (sempre rigorosamente in bianco e nero) per uno studio sulle variazioni che, dal punto di vista del museo ospitante, è interessante soprattutto per questo suo mettere al centro una modesta ceramica d’uso.

Numerosi e interessanti anche i lavori di Elisabetta di Maggio, Questa installazione dal titolo omonimo alla mostra (“At the still point of the turning world”) si ricollega invece al Boursier della prima edizione proprio nel tema delle ceramiche sonore. Il suono è qui prodotto dalla lenta rotazione delle pile di tazze su sé stesse, come un carillon. Il titolo è ripreso da un verso di Eliot, ma a me l’insieme ricorda anche Alice In Wonderland e la sua ossessione per il Tea delle five o’clock (l’eterno ruotare delle tazze come l’eterno ruotare del Cappellaio intorno al tavolo, forse).

Un simile minimalismo ricorre anche in questa porcellana bianca cruda sempre della Di Maggio, inserita quasi con effetto mimetico tra similissime ceramiche di manifattura Wedgwood, del 1774. Un cestino/copricapo la cui texture ricorda quello di una garza medica. A me fa venire in mente una improbabile cuffia da nuoto e, per associazione, la più celebre sequenza del cinema italico con una cuffia da nuoto in scena (tra l’altro, dominata dal bianco).

*

Impressionante infine, dell’autrice, questo pizzo sottilissimo, a merletto, tagliata a bisturi, un lavoro site specific che mette in connessione la ceramica e le merlettature rinascimentali di Burano.

Un pezzo forte della mostra, a livello di nome, è Ai Weiwei, artista dissidente cinese, che in contemporanea con questa esposizione monregalese è ospite a Firenze, Palazzo Strozzi, con una mostra di grande impatto, non priva di un contorno di polemiche (che, comunque, segnano la risonanza ottenuta dall’evento).

Qui l’autore ha portato “Porcelain Rbar”, riproduzioni in ceramica dei tondini estratti dalle macerie delle scuole distrutte dal terremoto cinese del 2008, omaggio alle cinquemila vittime e denuncia delle mancanze del governo, in modo non dissimile (mutatis mutandis) dei gommoni che divengono le bifore di Palazzo Strozzi per commemorare i migranti morti nel Mediterraneo e denunciare, in questo caso, l’inefficienza europea.

Carla Accardi (1924-2014) recentemente scomparsa, è tra le artiste più significative del secondo dopoguerra italiano (inizia ad esporre nel 1950), dove rappresenta una delle voci principali dell’astrattismo al femminile. Di lei sono presenti in questa mostra sia le Ricomposte Tinte presso il Museo, sia i Coni presso il vicino Circolo Sociale di Lettura, seconda sede di mostra, a tenere insieme con le sue opere affascinanti e coloratissime i due spazi in cui si è voluta articolare l’esposizione.

Opere di grande energia cromatica, i Coni dialogano con la bella sala affrescata da Nino Fracchia (di cui ho scritto qui). “Coni”, poi, mi rimanda alla grafia piemontese di Cuneo, “Coni” letto “Cuni”; appropriati dunque per una città della Granda.

Installazione “I mani” di Hilario Isola. Foto: Maria Bruni

L’opera che personalmente ho trovato più interessante è questa installazione di Hilario Isola, che dal 2003 opera artisticamente con una particolare predilezione per questa tipologia di opere.

Nell’opera, “Mani”, la struttura ceramica a grappolo d’uva che vediamo in primo piano va stretta con le mani, appunto, per generare sullo schermo il volto di Bacco o Dioniso, i “Mani” tutelari delle nostre zone. Il gesto ricorda la spremitura delle uve, la proiezione pare quasi rimandare all’antico teatrino delle ombre che costituisce una delle forme più primordiali dell’arte sacra (in cui gli dei erano interpretati tramite il duplice schermo della Figura e dell’Ombra da essa proiettata).

I “Mani” di Isola durante l’inaugurazione.

E possiamo quindi concludere circolarmente da dove eravamo partiti, tornando dai Mani dionisiaci cari a Bacco, alle Menadi e alle feste del Vino all’altro polo divino, quello di Apollo e del Sole, il carro di Helios che si schianta su Torino per la guida maldestra di Fetonte.

Fetonte girato in perfetto profilo (egizio?).

Il carro solare, con l’astro lucente come ruota.
Il carro come conchiglia, il sole come perla.
Anche questa è polvere di stella che cade sulla terra…

Giove pluvio coronato e fulminante, a cavallo di un’aquila dallo strano collo
(quasi un alambicco alchemico).

Giunone con cornucopia, adornata di corona di grano, che indica la scena.

I cavalli cadenti e, sotto di loro, un accenno dello zodiaco, via del Sole.