Le speranze deluse nella storia d’Italia

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L’Italia continua a caratterizzarsi per i suoi peggiori difetti: trasformismo, ribellismo qualunquistico, populismo, antipolitica, clientelismo, corruzione, struttura statale iperburocratica e inefficiente, assenza di un’etica pubblica in gran parte della classe dirigente e della stessa società civile.
Lorenzo Tibaldo ci regala un sintetico e denso studio – attraverso il Rinascimento, il Risorgimento, il fascismo, la Resistenza e i primi anni del dopoguerra – delle radici “malate” del nostro passato che ancora oggi rendono difficili alla società italiana profonde e inderogabili trasformazioni. Pagine che ci consentono di cogliere, con un linguaggio scorrevole e comprensibile, i problemi del nostro presente con cognizione di causa, senza vittimismo e frettolose analisi di comodo.

Lorenzo Tibaldo, Gli italiani (non) son tutti fatti così. Le speranze deluse nella storia d’Italia, Youcanprint, Tricase, 2016, pag.196, euro 14,00 – ebook euro 6,99.

Indice:

Prefazione di Giorgio Bouchard
Introduzione
Non dite io dite noi
Il silenzio della coscienza
Le camice rosse di Garibaldi
Il maestro di Predappio
Bella ciao!
Il flebile vento del Nord
Elogio della radicalità
Postfazione di Elvio Fassone

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Lorenzo Tibaldo

Lorenzo Tibaldo, professore di lettere, storia e filosofia. Attualmente insegna Filosofia del linguaggio al Corso universitario per mediatori linguistici a Pinerolo. Studioso di storia del Novecento, in particolare delle organizzazione del movimento dei lavoratori e della Resistenza.

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Tra le sue pubblicazioni ricordiamo:
Willy Jervis 1901-1944. Una vita per la libertà (Torino 2005, 2014);
Sotto un cielo stellato. Vita e morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, (pref. di Giuliano Montaldo, Torino 2008);
Il viandante della libertà. Jacopo Lombardini 1892-1945 (Torino 2011);
Nicola Sacco, Bartolomeo Vanzetti, Lettere e scritti dal carcere, (a cura di Lorenzo Tibaldo, pref. di Furio Colombo, Torino 2012);
La Rosa Bianca. Giovani contro Hitler (Torino 2014).

Lorenzo Tibaldo: uno storico tra Movimento operaio e Resistenza

Per gentile concessione dell’autore pubblichiamo la prefazione a Gli italiani (non) son tutti fatti così. Le speranze deluse nella storia d’Italia,

Prefazione
GIORGIO BOUCHARD*
Che da vent’anni l’Italia stia attraversando una delle più gravi crisi della sua storia lo sanno tutti, e molti sono disponibili a intervenire in questa crisi adoperando la temibile arma della penna: chi paragona l’Italia a un risibile, gigantesco outlet, chi la descrive come il regno di un colossale disordine destinato al disastro, chi condisce i propri articoli di giornale con un malinconico pessimismo, salvo un rispettoso ricorso all’autorità del Sommo Pontefice. L’atteggiamento di Lorenzo Tibaldo è profondamente diverso: per capire la situazione presente, egli fa invece ricorso alla storia, come aveva fatto Fabio Cusin quasi settant’anni fa con la sua Antistoria d’Italia [1] , alla luce della sua esperienza personale. Il libro che presentiamo è però più ampio (direi anche completo), perché l’Autore riprende in considerazione una gran parte della storia del nostro Paese: segnala il primato culturale dell’Italia del Rinascimento; constata che nel Cinquecento comincia la servitù dell’Italia: una servitù che in parte cresce per il successo delle invasioni straniere e si appoggia su un crescente servilismo del popolo italiano e, soprattutto, dei suoi dirigenti. Mi permetto di aggiungere che il Cinquecento è il secolo in cui le fiorenti comunità valdesi vengono distrutte (Calabria) o emarginate (Campania e Puglia); quanto ai valdesi del Piemonte, per sopravvivere devono ricorrere alla guerriglia, e finiscono emarginati in una specie di ghetto montano (ma tre secoli dopo molti dei loro discendenti sapranno affrontare con calma il plotone d’esecuzione nazifascista). Nella seconda metà del Cinquecento è però iniziato un fenomeno di dimensioni europee (per non dire mondiali): la Controriforma. Di questo fenomeno l’Autore dà una valutazione piuttosto critica, come quella espressa da uno dei massimi intellettuali del Risorgimento: Francesco De Sanctis. La Controriforma esprime un buon numero di grandi personalità, ma inculca al popolo (e alla classe media) una “filosofia della vita” fatta di sottomissioni e di piccoli compromessi; ben lo sapeva il cattolicissimo Manzoni quando descriveva quella società nel suo meraviglioso romanzo sui Promessi sposi. La società della Controriforma è durata poco più di un secolo, ma i tentativi di superarla non hanno avuto buon fine; è fallito anche il tentativo giacobino e poi napoleonico di agganciarla alla modernità. I grandi uomini (e donne) del Risorgimento – Madame de Staël, Sismondi, Mazzini, Garibaldi, Cattaneo – puntarono sulla possibilità di trasformare un popolo disperso e diviso in una società democratica sul modello svizzero e perfino statunitense; non ci riuscirono, né ci riuscirono quelli che avevano governato l’“operazione” Risorgimento. Personalmente mi considero un cavouriano, ma devo ammettere che Tomasi di Lampedusa, con la sua geniale opera, ci ha obbligati a rinunciare a una visione ottimistica del processo risorgimentale. In effetti, le classi dirigenti del tempo non seppero integrare nell’Italia unita tutto il popolo meridionale: Tibaldo ha ragione quando critica i metodi (e le idee) dei vincitori risorgimentali. Il Risorgimento è dunque rimasto incompiuto e ha trasmesso le sue terribili contraddizioni a quel “Regno d’Italia” che dovette poi affrontare il tragico XX secolo. Secolo che comincia con la conquista imperialistica della Libia (col bel metodo di impiccare tutti gli oppositori), e prosegue, con l’ingresso nella prima guerra mondiale, con un vero e proprio colpo di Stato, che prelude a un colpo di Stato ancora peggiore: la cosiddetta «marcia su Roma». Il libro raggiunge adesso il suo diapason: l’orribile ventennio fascista assume nella storia del Novecento (e nella storia d’Italia) il posto che gli spetta. Richiamandosi volutamente a Piero Gobetti, l’Autore dimostra che il fascismo non è una rivoluzione, ma una rivelazione: rivelazione di tutte le magagne (morali e civili) di quasi un millennio di storia italiana. Il libro è quindi pieno di fatti criticabilissimi, tra i quali spiccano i Patti lateranensi del 1929 e la conseguente alleanza tra i due sommi poteri d’Italia. Prova ne sia il solenne discorso tenuto nel 1936 dal cardinal Schuster, arcivescovo di Milano, per benedire la conquista dell’Etiopia (coi gas asfissianti) e la forzata annessione della chiesa ortodossa etiopica all’universo cattolico romano. Il regime riesce a ottenere notevoli consensi nelle classi medie e superiori, e anche alla fine (forzatamente) nella classe operaia e in una parte dell’intellighenzia. Non gli mancheranno anche grandi simpatie in tutta l’Europa e in varie zone delle due Americhe; valga per tutti il parere di Bernard Shaw: «l’onesta dittatura fascista è meglio dell’ipocrita democrazia inglese». Con il nazismo tedesco la simpatia si fa presto alleanza totale e comune partecipazione sia alla guerra di Spagna sia alla seconda guerra mondiale (con il corollario del comune, diabolico antisemitismo). «Vinceremo!», strilla sempre Mussolini, ma l’esercito russo (anzi, il popolo russo) schiaccia a Stalingrado la parte migliore della Wehrmacht tedesca, e la V Armata americana sbarca in Sicilia, sia pure con l’aiuto di Lucky Luciano, e prosegue verso Napoli e Roma. A questo punto, re Vittorio Emanuele III “scarica” Mussolini, sostituendolo col maresciallo Badoglio, «duca di Addis Abeba», a cui basta un mese e mezzo per passare dalla parte degli anglo-americani. È l’8 settembre 1943, che mette centinaia di migliaia di giovani nella condizione di dover scegliere tra due drammatiche opzioni: passare dalla parte delle truppe tedesche che nel frattempo avevano invaso quasi tutta l’Italia, oppure salire in montagna dove stanno nascendo i primi gruppi di partigiani antifascisti. È iniziata la Resistenza, la parte più nobile e più bella di tutta la storia italiana moderna: il cuore del nostro Autore batte appassionatamente col cuore di questi giovani, anche se più volte il loro cuore ha cessato di battere sotto le sventagliate del piombo nazifascista. La Resistenza è dunque stata un nuovo e valido Risorgimento, e nella sua base è stata costituita la Repubblica e scritta la Costituzione. Il XXV Aprile del 1945 è stato un grande giorno, ma subito dopo è cominciato il tentativo di imporre la «continuità dello Stato», il che ha significato il mantenimento dei vecchi rapporti sociali, oltre alla quasi assoluzione dei numerosi criminali fascisti, e di una cultura che pesa ancora sulla nostra Repubblica.

Foto P. Romeo

Giorgio Bouchard (fotografia di P. Romeo)

*Giorgio Bouchard, pastore valdese emerito, è stato Moderatore della Tavola valdese dal 1979 al 1984. È, inoltre, autore di numerosi saggi su temi storici e teologici.

[1] Fabio Cusin, Antistoria d’Italia. Una demistificazione della storia ufficiale. L’Italia sotto una luce diversa, Oscar Mondadori, Milano 1970.