Il tormento di Virgilia D’Andrea

virgilia uno

Virgilia D’Andrea

NON SONO VINTA!

No, non son vinta.
Vibra, in me, più forte,
L’ardente fede ne l’angusta cella,
E frange i ferri e batte le ritorte,
L’onda del sogno, che il mio cor flagella.
No, non son morta. Ma più puri e alati
Getta la penna, nei tumulti, i versi,
Ed essi vanno, azzurri e fascinati,
Verso il nitore di bei cieli tersi.
Quando da sola l’anima cammina,
E insidie e frodi il mondo le congiura
E nel fosco de l’ombra essa indovina
Che v’è l’agguato bieco o la sventura,
E passa e lotta e resistente avanza,
Senza sgomento, verso l’alte cime
Ed aspra più diventa la distanza
E più le sembra il sogno suo sublime;
Quando… pur triste… e fragile parvenza
Inchioda, il mondo, ad ascoltar la voce,
Che dalla cupa e turbinosa essenza
Urla il martirio de la ingiusta croce,
Allor s’è fatto di granito il core.
E non cede, non muta e non dispera:
Canto è di sogno che, giammai, non muore……
Fonte ingemmata di bellezza vera.
Oh! ben lo so… che se cantato avessi
Le vostre glorie e le dorate sale…
Se nel tumulto de la vita avessi
Anch’io venduto o spento l’ideale,
Certo mi avreste aperto intero il mondo,
Rose m’avreste sparse sul cammino,
Rete di sogno mèmore e profondo…
Forse… l’alloro… in fondo al mio destino.
Ma ho cantato di cenci… e ho calpestato
Tenero, il fior, de le languenti dame;
Ma ho scoperto i solai… e ho profanato
L’aria col tanfo de l’occulta fame.
Ma ho cantato di stanchi e di perduti,
Di desolati nei singhiozzi proni,
Ho pianto sopra i morti ed i caduti,
E merito la gogna… e le prigioni.
Stringete, dunque, ancor… ferri e catene!
Le azzurre strofe mie battono l’ala
Verso le lotte de le grandi arene…
Le raccoglie la teppa e le immortala.
(Carceri di Milano, 28 Ottobre 1920).

Pietro Gori

Pietro Gori

PIETRO GORI

Un raggio d’oro gli baciò la fronte
E placido sorrise…
E verso l’arco d’azzurrato monte
Un volo ardito l’anima decise.
E l’Elba rossa, di nascente aurora
Magnifica si cinse,
E accanto al mare, che il tramonto indora,
Il dolce canto i nostri sogni avvinse.
E pura e quieta, in trepida armonia,
Vagò la sua canzone
Forte di fede e grande d’anarchia,
Di pensiero vibrante e di passione.
E attorno attorno, nell’amplesso audace,
Avvinse cuore a cuore…
La franta folla, al vincolo tenace,
Fulse di luce al rinascente amore.
Bologna, Giugno 1919.

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Virgilia D’Andrea

PER RICANTARE AMORE

Aprite la prigione, o carceriera!
È tanto tempo che non vedo il cielo…
Voglio sognar che spenda primavera
Fresca ed aulente nel gemmato velo.
E date, al sogno, palpito di sole!…
Tanto… il pensier, non muterà giammai:
L’ardita vetta, spasimante, vuole
Pur se tenaci aventino i rovai.
Pur se implacata addensi la tempesta
E l’onda ancor minacci di salire,
Tra i foschi lampi insormontato resta:
«Per questa idea o vincere o morire».
Aprite, dunque! Ch’io riveda ancora,
Sopra uno sfondo di bizzarre rose,
Che il sol, fremente, col suo abbraccio indora
«L’orrido bello» che al mio cor s’impose.
I verdi clivi ed i Morroni foschi,
Le bianche vette ed i sentier montani,
I castagneti e i nereggianti boschi,
L’avido fiume e l’ombra de gli ontani…
Le minaccianti rupi e le profonde
Gole scoscese fra silvestri incanti,
Le zampillanti, al sol, querule onde,
Turchesi ed oro, ad atomi al verde,
E le case disperse in mezzo al verde,
O appollaiate su le rupi oscure,
Dove risuona e lento, alfin, perde
Il canto che vien su da le pianure.
Aprite, dunque! È per cantare «amore»
Che oggi m’afferra limpida armonia;
Mi fulge, attorno, un sogno di splendore
E ne voglio raggiar tutta la via.
E risentirmi tra il falciato fieno,
Tra il forte muschio e l’aspro odor dei campi,
De l’estro ardente, mentre il cor n’è pieno,
Cogliere voglio i suoi fugaci lampi.
E farne, palpitante, una canzone,
Che sotto i cieli di turchese tinti,
Passi e ripassi, spola di passione
E i tristi umani risollevi avvinti.
(Carceri di Milano 1 – XII – 1920).

Rosa Luxemburg

Rosa Luxemburg

È FORSE UN SOGNO?
In memoria di Rosa Luxemburg.

Dormi, povera donna, che credesti
Poter mutare il mondo!
Or posan quiete l’iridi celesti
E reclinato è il triste capo biondo.
E inerti son le affusellate dita,
Che un filo hanno intrecciato…
Col sacrificio de la dolce vita…
Anche il bel sogno a turbine è crollato.
Chè s’alza e vola la canzone umana
Da le quinte a la scena
E si svolge e si snoda ne l’insana
Luce de l’orgia tumultuosa e oscena,
E passa e guizza e torbida trascina,
Con un miraggio infido,
Forza incalzante ed ala di turbìna,
Anime e sogni verso ignoto lido.
E il popolo più triste e più pensoso
Batte i sentieri oscuri,
E scorda il maggio, cèrulo e radioso,
Ridente ai piani fiammeggianti e puri.
E non insorge, no, forte e ruggente,
Indomito lëone,
Nè spassa, alfin, la chioma sua fluente
Nel gesto grande de la ribellione.
Ed è, fiacco e codardo, arma e puntello
Del putrido armamento:
E a tratti addenta i troni e lo sgabello;
Ma poi si acquieta, pallido e sgomento.
Avanti, avanti, su…
Verso la gloria,
Verso l’aperto mare!
Scrivi, col sangue la più bella storia,
Sul drappo incidi la parola: Osare.
Ma triste e muta la smarrita folla
Resta tra i ferri, schiava,
Ed infeconda la sua fede crolla,
Che barricata, un giorno, flagellava.
E attorno a la dormiente per incanto
Fioriscono le rose…
Forse sbocciate dal notturno pianto
Degli occhi occulti de le morte cose.
E l’arsa bocca par che triste implori
I baci che ha respinti…
Cedono i fiori, e petali e colori
Da quell’angoscia dolcemente vinti.

(Carceri di Bologna, 20 Ottobre 1920).

Poesie tratte da Tormento, ed. “La fraternelle”, Paris, 1929.

Errico Malatesta

Errico Malatesta

Nella prefazione alla prima edizione di “Tormento” Errico Malatesta tra l’altro scrisse: «Qui troverai, o lettore, la storia di questi ultimi anni quale fu sentita e vissuta da chi nelle alterne vicende di vittorie e di sconfitte, di fulgide speranze e di disinganni amari conservò fede nell’ideale di fratellanza umana, di giustizia, di benessere, di pace e di progresso per tutti. Vi troverai rievocata, in episodi truci e pietosi, tutta l’infamia della guerra; vi ritroverai, dipinta in tratti rapidi e vivi, la riscossa operaia che seguì la guerra, e la gioia che allargava i nostri cuori quando sembrava che l’ora della vittoria fosse per giungere, ed il cupo dolore che ci colpì quando le speranze crollarono e sopravvenne la bieca e feroce reazione. Ma soprattutto vi troverai la fede che non muore con la sconfitta ed il proposito fermo e la speranza sicura.
Non è vacua letteratura quella che qui troverai, o lettore; non è spasso di persona ristucca, non è virtuosità di verseggiatore che si compiace di mettere in rima una tesi o una situazione qualsiasi.
Virgilia d’Andrea, poetessa dell’anarchia, degna di prendere il posto che lasciò vuoto il nostro Pietro Gori, scrive e canta perché sente e vuole, e perciò riesce più vera e più efficace di tanti poeti maggiori. Ella si serve della letteratura come di un’arma; e nel folto della battaglia, in mezzo alla folla ed in faccia al nemico, o da una tetra cella di prigione, o da un rifugio amico che alla prigione la sottrae, lancia i suoi versi come una sfida ai prepotenti, uno sprone agli ignavi, un incoraggiamento ai compagni di lotta.
Io, fiero di poter premettere queste mie povere parole ai versi di Virgilia d’Andrea, riconosco e saluto in lei una sorella.
Roma – Aprile 1922 ERRICO MALATESTA».

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Virgilia D’Andrea

Virgilia D’Andrea (Sulmona, 11 febbraio 1890 – New York 11 maggio 1933) . Passò l’infanzia tra tragedie familiari che la lasciarono orfana in tenera età. A sei anni fu collocata in un collegio di suore, dove rimase fino al conseguimento del diploma di maestra. Fu per alcuni anni maestra nella scuola elementare, poi si diede interamente colla sua passione e colla sua intelligenza alla propaganda dell’ideale anarchico. Sfidò più volte le manette dei gendarmi e i pregiudizi del volgo, finché la reazione fascista non la costrinse all’esilio. Si spense in un ospedale di New York dopo aver portato nel mondo la sua testimonianza antifascista.