Intervista impossibile a Dada Bianchi

Dada Bianchi

GABRIELLA MONGARDI
Tu sei conosciuta con il cognome di tuo marito, il pittore cuneese Ego Bianchi e, pur dipingendo tu stessa, sei più nota come moglie di pittore che come pittrice. La cosa non ti dà un po’ fastidio?

Sai che non ci avevo mai pensato? Comunque no, assolutamente no: né nei dieci anni vissuti insieme, né dopo la sua morte. Del resto, quando ci siamo conosciuti lui era già un pittore affermato, mentre io non ero nessuno. E probabilmente non avrei mai dipinto niente, se non avessi incontrato lui: la mia arte è un suo dono, non ho nessuna difficoltà a riconoscerlo. Come se l’arte fosse una malattia contagiosa. Come se il suo pennello fosse una bacchetta magica che trasformava chi ne era toccato in pittore… Mi sono sentita valorizzata e capita da lui come non mi era mai successo prima. Sì, una certa predisposizione artistica innata l’avrò anche avuta, ma è l’amore ad averla portata a frutto, e a sua volta il nostro amore traeva alimento dall’arte. Amore e arte erano intimamente fusi e si accrescevano a vicenda, come noi. Capisci? Era talmente profonda la nostra unione spirituale ed esistenziale, talmente forti le nostre affinità elettive, che non mi accorgevo nemmeno di vivere alla sua ombra: vivevo nella sua luce. Nella luce dell’autenticità. Anche dopo la sua morte, ho continuato a vivere con lui e per lui, tra i suoi quadri e le sue ceramiche: non avrei potuto immaginare una vita diversa, un compito più ‘mio’. Averlo incontrato ha dato senso e orientamento a tutta la mia vita, quella vissuta prima di conoscerlo e quella che ho vissuto da sola dopo la sua morte. Ma non ero più sola, perché traboccavo di lui – la nostra intimità continuava e si esprimeva in ogni mio quadro.

Allora, se le cose stanno così, per sapere di te devo chiederti “raccontami di voi”. Che cosa è importante che si sappia di te, di lui?

Che eravamo sempre insieme, anche quando eravamo lontani, anche quando le lettere non arrivavano e io non sapevo niente di lui. Ma gli appartenevo, appartenevamo l’uno all’altra come gli uccelli all’aria, la luce al cielo: l’appartenenza reciproca non era una prigione, ma la nostra segreta forza. La nostra era, se non una simbiosi, un’osmosi: lo scambio di elementi vitali tra di noi era continuo. Forse perché quando ci siamo incontrati, nel sanatorio di San Lorenzo al Mare, eravamo tutti e due già adulti, oltre che malati: avevamo già fatto esperienza in vari modi della morte, eppure l’amore per la vita non si era spento in noi. Questo ci ha permesso di riconoscerci e di ‘salvarci’, per gli anni che abbiamo vissuto insieme, prima e dopo il matrimonio. È lui che ha insistito perché ci sposassimo: forse voleva darmi una garanzia del suo amore, o forse voleva essere sicuro del mio. Ma che bisogno c’era? Era evidente che il nostro incontro era scritto nel libro del destino, eravamo fatti uno per l’altra… Però, si era negli anni ’40: in una cittadina di provincia come Mondovì meglio non scandalizzare troppo i benpensanti!

Avete sempre abitato a Mondovì?

No, dopo due anni dal matrimonio ci siamo spostati a Cuneo, ma a lui la provincia stava troppo stretta. Io sono nata a Mondovì e amo la mia città, ma devo purtroppo ammettere che il gusto artistico è troppo tradizionalista, ostile alle novità, incapace di vedere la grandezza di un artista che pure fu stimato da Aligi Sassu, da Chagall, da Picasso… Lui si sentiva a casa sua a Milano, dove frequentò Sassu, o in Costa Azzurra, a Nizza, a Vallauris, a Cannes, dove soggiornava spesso a casa dell’amico François Raty. Ah, siamo andati insieme in Costa Azzura nell’estate dopo il matrimonio, è stato quello il nostro viaggio di nozze, nel 1951: che dono quella luce, quei colori, quelle trasparenze! Avrei voluto andare a vivere là o ad Albisola, per via della ceramica: l’importante era che ci fosse il mare. Il mare ti parla, ti accompagna con la sua musica, ti trasmette le sue vibrazioni… anche se non sapevo nemmeno nuotare!

Non avevate mai discussioni, non litigavate mai?

Certo che litigavamo, furiosamente! Sui quadri. Lui non sopportava che i visitatori alle mostre gli chiedessero il significato di un disegno o di un dipinto. Io invece i miei li commentavo volentieri. Per vendere un quadro bisogna fare un po’ di politica, e se non vendevamo quadri, di che cosa vivevamo? Lui urlava che era un artista, non un commerciante, e si offendeva per le mie critiche. Era come un bambino abbandonato e indifeso che da me, almeno da me, voleva solo elogi e approvazione.

Dada Bianchi, Il boscaiolo

Dada Bianchi, Il boscaiolo

Visto che commenti volentieri i tuoi quadri, potresti dirmi due parole su questi?

Della mia pittura hanno detto che si muove tra il surreale e il naif, ma io preferirei due altri aggettivi: fiabesca e sognante. Ego di me diceva… Aspetta, leggi qui. È il suo diario: «Magda è artista istintiva, perché intuisce, capisce, sente, pur non sapendosi ancora esprimere. Per Magda l’opera d’arte è in sé, e la sente senza però rendersi ragione del perché. Quando avrà raggiunto e scoperto il suo linguaggio espressivo (ferri del mestiere) allora potrà spiegare agli altri con opere affatto nuove, cioè sue, quello che lei sente e quello che la commuove». Spero di esserci riuscita. Prediligo i paesaggi invernali, innevati, o addirittura le nevicate: la neve possiede il segreto di ridare al cuore in un soffio la gioia infantile che gli anni gli hanno spietatamente sottratto. Dipingere è per me un modo per recuperare la bambina che ero, la sua inconsapevolezza: per questo volti di bambine sono spesso in primo piano nei miei quadri. Dobbiamo prenderci cura del bambino che continua a vivere in noi e che, come diceva il poeta, mescola la sua voce argentina alla nostra arrochita, fa sentire la sua risata fra le nostre lacrime, e ci salva. Grazie agli artisti, eterni bambini.

Dada Bianchi, Inverno del vino

Dada Bianchi, Inverno del vino

Dada (Magda) Rolandone Bianchi, Mondovì 1917- Cuneo 1992
Ego Bianchi, Castel Boglione 1914 – Cuneo 1957

SITO- E BIBLIOGRAFIA

https://it.wikipedia.org/wiki/Ego_Bianchi
http://www.exibart.com/notizia.asp/IDCategoria/56/IDNotizia/19338

M. ROSA, Ego e Dada, Primalpe, Cuneo 2015
E. PEROTTO (a cura), Ego Bianchi, Diario 1945-48, Araba Fenice, Cuneo 2009
L. ARNAUDO, Santità della malattia e trascendenza dell’arte: per una riscoperta di Ego Bianchi, in “Cuneo Provincia Granda” n.2, 2001, pp.16-24

(pubblicata originariamente l’8 maggio 2016)