Dal diario di una professoressa – 2

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La Notte del Classico.

INES LA VERGA.

Mi vesto con cura, in previsione della serata speciale.

C’è la Notte del Classico e la scuola, la “mia” da tanto tempo (e come alunna e come madre e come insegnante) è in fibrillazione da più di un mese. Abbiamo tutti versato il contributo “volontario” per il buffet, perché non si ammettono deroghe: deve essere ricco, vario e senza alcun dubbio abbondante. Il liceo concorrente l’anno scorso ha spopolato soprattutto così, con cibi di tutti i generi – per vegetariani, celiaci, vegani – cogliendoci ahimè impreparati e lasciando impallidire il nostro scialbo catering alla buona. Non avevamo pensato che sarebbe stato l’anno dell’Expo e che la partita dell’orientamento si sarebbe giocata più  sulle tavolate che sui tavoli di lavoro.

Eppure la collega più mondana ce l’aveva predetto: “La festa riesce se si mangia come si deve.” E, ça va sans dire, sarebbe anche solo bastata la lezione del simposio greco. Ma c’eravamo concentrati più sulla scaletta e sulla qualità degli interventi, studiando tempi e modalità operative. Un errore da principianti che questa volta sono certa non si ripeterà.

E infatti, appena varco il cortile dell’Istituto, eccoli i primi partecipanti che lavorano di mascella. Giusto un assaggio prima di cena, visto che sono appena le sei del pomeriggio e l’evento si protrarrà fino a mezzanotte. Speriamo che le provviste bastino, mi dico, ma la collega che incrocio dalla palestra mi strizza l’occhio rassicurante. Ha una ghirlanda di alloro che le dà un tocco da laureanda, ma sono sfumature.

“Salve prof.!” mi sorride, mostrando a trentadue denti le stelline dell’ apparecchietto, una giovanissima alunna in peplo bianco. Dal badge (!) leggo che si tratta di Psiche. “Sono qui per l’accoglienza – precisa orgogliosa – Se vuole può chiedere a Circe –  mi indica il badge di una sua graziosissima compagna in vestito da dama medievale (!) – di condurla da Apollo per farle avere il bigliettino di saluto. Li abbiamo scritti tutti noi a mano, non  sono  venuti carini?” Carini sì, con il loro bel chaire in bella mostra. Avrei preferito uno gnothi seauton, ma non sottilizziamo. Ad essere un po’ pignoli mi fanno pensare ai foglietti dentro i biscottini cinesi della fortuna ma – diamine! – siamo o non siamo in un realtà globalizzata?

Con la coda dell’occhio mi accorgo di un continuo fluire di gente che sale, scende, gira, interroga, si muove per tutta la scuola, mentre le ghirlande di alloro – ce ne sono parecchie ormai – si incrociano con i pepli ed i cappotti dei partecipanti. Ce ne sono di tutte l’età. Bene, mi dico, questa volta sta funzionando.

“Macché !– raffredda il mio entusiasmo una dello staff di Presidenza – Ti rendi conto che abbiamo dieci classi in uscita quest’anno? Sono penultima in graduatoria e rischio di essere soprannumeraria. E con la Buona Scuola di Renzi ed i bacini territoriali non so nemmeno dove andrò a finire. Ma ti immagini, dopo tanti anni di carriera e di ruolo, stare a pietire la chiamata di un preside?”

Quello nostro dispensa intanto sorrisi a destra e a manca in Aula Magna. Mentre lo accosto per salutarlo e farmi vedere – “Chiunque abbia a cuore le sorti del liceo classico, ed in particolare di questo liceo classico, non può mancare, lo capite bene” ci ha ricordato non più tardi di qualche ora prima in sala Docenti –, lo sento flautare ad una signora ingioiellata: “Vedrà, vi troverete benissimo qui da noi e noi faremo di tutto per farvi star bene”. “Sembra il portiere di un albergo”, mi sorprendo a pensare e poi ricordo che era in effetti questo ciò che faceva prima di dedicarsi alla scuola: il direttore d’albergo. Ad essere più precisi, il suo curriculum vanta anche esperienze di autotrasportatore in Germania. Non conosce una parola di greco ma forse gli va meglio col latino. Il suo forte è però l’inglese, perciò prova ormai da anni ad ampliare l’inimitabile ed imprescindibile offerta formativa del nostro Istituto con l’inserimento di una sezione di liceo linguistico, sì ma con lingue orientali, mica roba banale: invece del greco, un pizzico di latino che non guasta come ogni buona spezia e soprattutto tedesco e cinese o, a piacere, giapponese.

Il caldo sta divenendo difficile da sopportare. Qualcuno si sente male. Esco e cerco le aule tematiche, seguendo la folla che si muove ondivaga. C’è di tutto: gli alunni hanno risposto davvero con entusiasmo e si sono prodigati. Apprendo perciò, in sequenza rapsodica e compatibilmente col caos che  va via via montando, qualcosa sulle emozioni (“Inside out” docet), qualcosa sulle stelle, qualcosa sulla vita selvaggia, qualcosa sul cibo nel Medioevo. Non riesco ad assistere alla proposta di alcuni canti del “L’Inferno” perché – forse anche grazie al modello Benigni – sono gettonatissimi e la fila arriva ad occupare il corridoio. Riesco in compenso ad entrare nell’aula “Una notte al Museo” ma una fanciulla vestita come “La ragazza dall’orecchino di perla” mi invita a ripassare perché al momento gli altri suoi compagni sono in pausa. Mi va meglio col mito della caverna ma incrocio alcuni ex-alunni. Ci abbracciamo. Un paio si sono iscritti in Lettere Classiche, uno è perfino entrato alla Normale. Ci confrontiamo sulle sorti della filologia, quindi veniamo sospinti verso la palestra. A breve ci saranno le staffette e gli agoni. Poi seguiranno concerti e rappresentazioni teatrali, con qualche momento dedicato alla filosofia ed alla letteratura.

Mi spintona un giullare – “Rappresento un personaggio della corte di Federico II di Svevia” mi spiega. Non lo fa a posta, non è colpa sua: c’è una tale confusione! E così, fulmineo, mi attraversa un pensiero: non è che “Notte del Classico” possa rivelarsi un sintagma ambiguo come gli oracoli del Lossia? Che equivalga a tramonto e buio piuttosto che a celebrazione e festa?

Colpita dalla rivelazione, guardo la luna che eterna risplende sul mondo degli uomini ed imbocco l’uscita.

“Ma che fa, professoressa, non viene? C’è mia sorella che suonerà la chitarra”, mi intercetta un liceale.

Gli riservo un sorriso vacuo e fuggo, evaporo, svanisco.

A casa mi aspettano i miei e “I casi dell’Ispettore Coliandro”. Umani, umanissimi, si potrebbe suggerire un’aula tematica per la prossima kermesse, …ops, volevo dire Notte.

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