Fiore di roccia

Fiore di Roccia storni

STEFANO CASARINO

Un prezioso libretto e un gruppo di amici accomunati dalla voglia di poesia e di musica: questo il nucleo della serata di venerdì 4 dicembre 2015 alla SOMS di Mondovì, quando si è presentata la nuova opera di Giuliana Bagnasco, Fiore di Roccia, dedicata alla poetessa argentina Alfonsina Storni, quinto volumetto della collana “I ranuncoli”, Edizioni Gli Spigolatori.

È toccato al sottoscritto l’onore e il piacere di introdurre e di condurre la serata, che il folto pubblico sembra avere particolarmente gradito.

Alfonsina Storni nacque nel 1892 a Sala Capriasca, piccolo centro del Canton Ticino e a quattro anni si trasferì con la sua famiglia in Argentina: vale la pena riflettere sul fatto che anche la Svizzera, in tempi neppur troppo lontani, è stata terra di emigrazione. Tra il 1850 e il 1950 emigrò il 17% dei ticinesi; oggi in Argentina vivono circa 16.000 svizzeri, che costituiscono la più numerosa colonia svizzera di tutto il Sudamerica.

Già a dieci anni Alfonsina lavora, svolge tante occupazioni modeste: sarta, operaria, lavapiatti, cameriera. Altro aspetto da considerare oggi: i nostri bisnonni e i nostri nonni hanno tutti iniziato a lavorare da bambini, il concetto di “sfruttamento dell’infanzia” è relativamente moderno.

Nel 1912 le nasce il figlio Alejandro: non rivelerà mai l’identità del padre, se lo alleverà da sola, intrepida ragazza madre in un’età e in una società patriarcale e moralista.

È del 1916 la sua prima raccolta poetica e l’inizio di un’avventura letteraria che le consentirà di ottenere successo popolare e considerazione da parte di altri artisti. Nel 1935 si ammala di tumore, le viene asportato un seno; ma l’intervento non è risolutivo, tre anni dopo il male si ripresenta e Alfonsina nel 1938, a quarantasei anni, si suicida gettandosi da una scogliera a Mar del Plata.

Queste le poche note biografiche che è bene conoscere prima di accostarsi all’opera di questa poetessa.

A semplice titolo di introduzione, ho esplicitato cosa mi intriga di lei: il fatto di essere una poetessa del mare; di proporre una poesia che tratta di una donna-donna, non – finalmente! – di una donna-angelo o di una donna-demonio; e, soprattutto, la sensazione, tutta soggettiva, di ravvisare in lei echi classici.

Il suo verso Yo nacì para el amor, “son nata per l’amore” a me rammenta il ben noto grido dell’Antigone sofoclea; ma più di tutto c’è una sua poesia che trascrivo che mi fa pensare al celeberrimo “carme del Sublime” di Saffo:

Al di sopra di tutto amo la tua anima.
Attraverso il velo della tua carne la
vedo brillare nell’oscurità: mi avvolge,
mi trasforma, mi satura, mi affascina.
Allora parlo per sentire che esisto,
perché se non parlassi la mia lingua si
paralizzerebbe, il mio cuore
smetterebbe di palpitare, tutta mi
disseccherei abbagliata. (Poesia d’amore, VI).

La serata, però, era in onore di altre “signore” e, soprattutto, di un notevole libellus, composito e polifonico.

“Fiore di roccia” – bel titolo [l'acquerello di copertina è di Teresita Terreno, NdR], che coglie il carattere peculiare della poetica della Storni – si compone di alcuni fondamentali “ingredienti”.

Anzitutto, l’articolato saggio critico di Giuliana Bagnasco, che mette ottimamente in luce la poliedrica sensibilità di Alfonsina: a giudizio di chi scrive, bisognerebbe leggerlo prima e dopo aver letto le liriche proposte.

non solo Fiore di roccia

Poi l’antologia poetica: solo dieci testi, con l’originale spagnolo a fronte, ma una scelta felicissima, che offre un’idea compiuta dell’universo poetico di questa autrice. Grazie, in modo particolare, all’efficace ed elegante traduzione di Chiara Atzori, che nella terza parte, con le sue Note, chiarisce e  motiva il perché delle sue scelte, permettendo di cogliere appieno la sua intenzione di “traduttrice-accompagnatrice e mediatrice” del testo, al cui servizio si pone.

Segue l’interessante intervista di Giuliana al regista Davide Sordella, ora sindaco di Fossano, qui nella veste di regista del film Alfonsina y el mar del 2013, per l’ interpretazione di Lucia Bosè e Magaly Solier.

Non mancano poi le esaurienti note bio-bibliografiche sulla poetessa argentina. Il volume, infine, è impreziosito da tre disegni e dalla suggestiva copertina di Teresita Terreno.

Remigio Bertolino – celebre poeta montaldese che solo due anni fa, il 30 luglio 2013, ha vinto il prestigioso Premio di Poesia “Giovanni Pascoli” – ha collocato la produzione poetica di Alfonsina Storni nel più ampio contesto della letteratura argentina del XX sec., tratteggiando un ampio excursus dal simbolismo di Leopoldo Lugones all’ultraismo del primo Borges al modernismo di Rubén Darío. Si è insistito sulla contrastante fama della poetessa argentina, amata dal pubblico fino a diventare una vera e propria icona nazionale ed osteggiata da alcuni intellettuali suoi contemporanei: significativo in merito il giudizio sprezzante di Borges che definì la sua poesia “stridio di comare”, salvo poi ricredersi successivamente. È certo, comunque, che la Storni, famosa in patria, è ancora pressoché sconosciuta in Italia: Bertolino con sagace determinazione è andato alla ricerca della presenza di Alfonsina in opere antologiche proposte al pubblico italiano, verificando come di lei compaiano sempre pochi testi. Perciò il libro ora proposto ha anche un’importante funzione di “iniziazione”, di introduzione alla conoscenza di una voce che in Italia si è ascoltata ancora poco.

Difatti, proprio questo aspetto è stato rimarcato dall’articolata relazione di Yvonne Fracassetti Brondino: il libricino è nato “da un lavoro di squadra” – io aggiungerei “di pionieri culturali” –, ispirato dal suggerimento, che ha dato il la all’avventura, di Remigio Bertolino.

Molto opportunamente, poi, viene evidenziato il carattere di saggio non accademico e non paludato del lavoro di Giuliana Bagnasco: il suo è un testo, invece, in cui – come Yvonne ha detto in modo squisito – “l’emozione ha il sopravvento sull’analisi” e ci dà una magnifica lezione di come entrare in sintonia con l’autrice e creare istantaneamente a propria volta sintonia tra questa e i lettori.

La relatrice rifiuta di incasellare la poesia di Alfonsina Storni nella facile e riduttiva categoria di “poesia femminile” , ma addita la dimensione più piena e più vera, della poesia tout court, che offre una visione del mondo priva di gerarchie, che concilia i contrasti ed esplora un tutto inscindibile.

Nel suo intervento Giuliana Bagnasco ha riconosciuto il carattere di immediatezza della propria lettura critica, parlando con eccessiva modestia di “lettura di pancia”: trattasi piuttosto, a giudizio di chi scrive, di lettura di un “cuore intelligente”, che è capace di cogliere l’essenziale e di interpretare con fine eleganza, senza farsi distrarre da compiaciute esegesi troppo spesso fini a se stesse. Giuliana ha letto la testimonianza del figlio di Alfonsina, Alejandro, che fornisce un essenziale ritratto fisico e spirituale della poetessa: chioma precocemente incanutita, occhi di colore cangiante, andatura nervosa; grande senso dell’amicizia e ostinato amore per la verità. Una persona autentica, insomma, certamente non facile, che usò della sua arte contemporaneamente come di uno scudo e di un’arma.

Chiara Atzori ha invece incentrato il discorso sullo spinosissimo problema della traduzione, rimarcando che non c’è, non ci può essere mai equivalenza assoluta tra due lingue, nemmeno tra quelle apparentemente così simili come lo spagnolo e l’italiano. Ciò ha offerto la possibilità per chi scrive di rammentare la stimolante opinione di George Steiner, che a proposizione di Babele parla non di condanna, ma di dono di Dio: il dono della molteplicità delle lingue, che equivalgono a plurimi mondi ricchissimi di infinite sensazioni e suggestioni.

È stata la voce di Ada Prucca che ha fatto comprendere immediatamente al pubblico la ricchezza e la forza della poesia di Alfonsina Storni: con una dizione sicura, la sua voce elegantemente sensuale e morbidamente carezzevole ci ha, come sempre, affascinato e commosso. Tra le liriche proposte, mi limito a segnalare Due parole, Presentimento e Vado a dormire, la lirica con cui Alfonsina si congeda prima di suicidarsi.

Quando poi alla poesia si unisce la musica, la suggestione è ancora maggiore. L’accorta “regia” di Mario Manfredi, deus ex machina e valente chitarrista, ha confezionato una miscellanea di brani quanto mai vari ed appropriati, spaziando da Vedrai, vedrai – evergreen di Luigi Tenco, cantato in modo delizioso da un ispirato Attilio Ferrua – a Malinconico autunno; da All the things you are a Alguien le dice al tango; da Ah che sarà che sarà a Eu sei que vou te amar, in un acrobatico esercizio poliglottologico.

Al termine di ogni brano sempre caldi applausi all’apprezzatissimo trio.

Non poteva mancare, ovviamente, Alfonsina y el mar, bellissimo testo di Ariel Ramirez e stupenda canzone portata al successo da Mercedes Sosa: l’interpretazione di Ada non solo regge il confronto, ma è stata da me particolarmente apprezzata per una maggiore dolcezza.

Serata, quindi, di rara, particolare bellezza, una gioiosa riscoperta del piacere della condivisione di arte e cultura. Anche e soprattutto in questi tempi di Isola dei Famosi e di X Factor.

serata Fiore di Roccia