Poeti dal mondo, Christian Garaud, Francia

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Foto di Bruna Bonino

Poesie inedite

Quasi così reali
come gli alberi riflessi
nell’acqua dello stagno
le parole della memoria.

*

Giorno e notte si chiacchiera.
Chi parla nel mio corpo?

Tanto tempo fa
giocando a nascondino
nell’oscurità
delle voci mi chiamarono.

Avanzavo tastoni,
toccavo un viso,
mi aggrappavo a una manica.

Chi acchiappa un fantasma?
Corpo casa stregata.

*

Riflessi delle nuvole
sulla pagina

Disegno della poesia
Sulla finestra

Che cosa è che si riflette
nelle sue parole?

*

Felce così antica
felce così leggera
in riva allo stagno

Vivente fossile
nel sottobosco
di un’infanzia

Felce arborescente
dalle foglie frastagliate
da quale kirigami?

Felce acquatica
chiamata osmunda
dalle radici galleggianti
come le parole della poesia

Profumo di felce
odore del tempo.

Traduzione di Viviane Babando

Christian G

Christian Garaud ha passato i suoi primi 22 anni a Poitiers. Alla fine degli studi universitari ha insegnato in Irlanda, Svezia, Canada e Stati Uniti. Per molti anni è stato professore di studi francesi all’università del Massachusetts a Amherst. Vive attualmente a El Paso (Texas).

Negli ultimi dieci anni ha pubblicato poesie, saggi, racconti e traduzioni in inglese e francese in una dozzina di riviste. In Francia ha pubblicato quattro raccolte di poesie: Les pommes clochards, Gros Textes (Polder 141) 2009; D’où vient la voix? (Editions des Vanneaux, 2012) ; La cigale bien attachée (plus ou moins) (Editions La Porte, 2012), Dix-sept grains de komboloï (Editions La Porte, 2014). Una traduzione in inglese di Les pommes clochards è stata pubblicata nel 2012 da Finishing Line Press con il titolo Feather Brain. È inoltre membro di Brevitas, un gruppo che si scambia poesie in inglese nella rete ogni quindici giorni.

Quando ha incominciato a scrivere?

È all’età di dodici o tredici anni che ho incominciato a scrivere, e non ho mai cessato di farlo. Quindici anni fa è diventato una pratica quotidiana, soprattutto scrivere poesie. Ed è anche da quel momento che ho cominciato a pubblicare ciò che scrivevo.

Come definisce la poesia?

Ho voglia di rispondere che la poesia è un mezzo come gli altri di parlare della stranezza di essere vivi. Ma io non credo che si possa rinchiudere la poesia in una definizione. In compenso, ognuno può dire ciò che rappresenta per sé stesso, provando a capire da dove venga il proprio desiderio di scrivere ed osservando il proprio modo di scrivere. Una delle mie piccole poesie dice abbastanza bene quel che mi sembra essere all’origine del mio desiderio di scrivere, oggi come ieri: “Per tutta la sua vita il bambino va / per la sua strada di bambino/ in un corpo che va/ per la sua strada di corpo”. Queste strade divergono molto presto, e questo crea una situazione di sconforto e di carenza che ciascuno cerca di risolvere. La poesia mi sembra essere un mezzo come gli altri per riavvicinare questi percorsi. Chi dice bambino dice gioco, ma questo gioco è più un’avventura che un divertimento. Non ricordo chi abbia detto che scrivere una poesia è “fare il muro del linguaggio”. E’ veramente così. A partire da una emozione suscitata da un detto, da una parola sentita, da una situazione concreta, si tratta di far dire alle parole ciò che non so dire, di lasciarmi sorprendere da loro e andare così verso non so quale verità sempre incerta e provvisoria. “Come è misero il segno! E tuttavia che certezza, in certi momenti, di avanzare come alla guida di una nave, o un autocarro tra le dune, più di lui esistendo, perché lo si può vedere mentre si forma, e come si apre, e si perde!” (Bonnefoy). E’ nell’inquietudine e nel piacere dello scrivere una lirica che si incrociano in modo effimero i percorsi di cui parlavo.