Claudio Salvagno e la tradizione della poesia occitana

foto Bruna Bonino

foto Bruna Bonino

REMIGIO BERTOLINO.

La poesia occitana ha avuto periodi di grande splendore con i trovatori, tanto che Dante nel XXVI canto del Purgatorio  fa parlare Arnaut Daniel in provenzale: Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan; “miglior fabbro del parlar materno”, come lo definisce Guido Ginizzelli.

Dopo questo apice medioevale  la poesia in lingua d’oc decade; rinasce  nell’Ottocento in una estrema fioritura con il grande Frédéric Mistral che fonda il Felibrismo, movimento fondato per conservare alla Provenza la sua lingua. Mistral è famoso  soprattutto per il poema Mirèio, per il quale vince il Nobel nel 1905.

Nel Novecento l’occitano viene ulteriormente emarginato (il numero dei parlanti ridotto al minimo) sotto il rigido centralismo francese che ha imposto da sempre con forza la lingua nazionale. Ma un nutrito gruppi di poeti continua una sottile resistenza diffondendolo e scrivendolo. Robert Lafont scrive addirittura vari romanzi tra cui il più famoso è La festa; una sua intensa raccolta di liriche uscì nel ’49, Paraules au vièlh silènci. Altri due grandi poeti, Max e Yves Roqueta, sono completamente sconosciuti in Italia.

Nelle regioni di lingua occitana cuneesi nel Novecento abbiamo avuto molti poeti, tra cui Antonio Bodrero: il più grande, quello che ha saputo trarre dall’occitano tutta l’intima e segreta  musica.

A seguire la magistrale poesia di Bodrero l’Occitania ha ora un grande stella polare in Claudio Salvagno. Salvagno s’innesta sulla tradizione innervandola di linfa e forza nuova. Si percepisce nei suoi versi una nuova musica, più moderna e più attuale, dove echeggia una profonda conoscenza della poesia contemporanea, soprattutto quella più amata, la inglese.

Se in Bodrero la Provenza è idealizzata e cantata come in Ahi mio grinouzo,  in Salvagno l’ideale occitano ha un fiato, un respiro mondiale; non per nulla il poemetto che dà il titolo all’opera, L’autra armada,  si apre con la dedica ad una poetessa israeliana, Tal Nitzán,  un’errante sia per scelta che per destino. In Bodrero predomina un simbolismo raffinato e lirico, mentre in Salvagno predomina il “correlativo oggettivo” alla Eliot, il suo è un addentrarsi a mano a mano nel paesaggio montano esplorandone luce ed ombre, scoprendo nelle ferite della terra le ferite dell’animo,  le concrezioni e i sedimenti  di un passato che il poeta fa baluginare in vorticose immagini metaforiche.

Giovanni Tesio all’inizio della postfazione scrive in proposito: «Prima di tutto il modo, che in area piemontese (sia in piemontese sia in occitano) non mi pare che si dia. Non vedo, infatti, altro esempio degno in cui la poesia di Claudio Salvagno possa trovare la sua ‘tradizione’. Almeno da questa parte della displuviale – o come lui direbbe, “sea”. Non Antonio Bodrero da cui troppo lo allontanano – a parte qualche gioco piccolo di parola: qui un solo esempio per tutti, “ombra”-“bronda”-“branda” – l’attitudine alla ricerca intraverbale e all’infinita dilatazione polisemica. Ma se non lui, chi altri? Non Bep Ross, se non per qualche lirica congiunzione; non l’amico Janò Arneodo, a parte certe generiche consonanze di luogo e – a volte – di tono. E allora tanto vale riconoscere che Salvagno è un po’ come un virgulto nato a caso, alimentato ai mille Venti della sua inquietudine di lettore vorace…»

L’autra armada è una raccolta compatta e unitaria, dove le tematiche sono sviluppate per cerchi concentrici, a poemetto. Scrive Tesio nell’intensa postfazione: «Il secondo libro di Claudio Salvagno conferma la forza del precedente e, anzi, la esalta. Prendendo il suo titolo dal primo poemetto, L’autra armada, il nuovo libro rivela tutto il fuoco centrale della passione che anima il dettato».

Claudio Salvagno vive a  Bernezzo (Cuneo). Poeta e scultore, è coredattore del quindicinale di valle  Il Caragliese con una rubrica d’attualità intitolata “Polenta e cous cous” e un’altra dedicata alla letteratura d’Oc. Ha partecipato a varie manifestazioni personali e collettive di scultura e poesia ed è presente su vari cataloghi di arte contemporanea: si veda QUI.  È artista raffinato e di grande forza evocativa: le  sue sculture in legno,  filiformi e contorte, sono arcane e misteriose figure totemiche.

Salvagno, Tribù

Salvagno, Tribù

Una prima raccolta organica della sua opera, L’emperi de l’ombra, è stata pubblicata dall’editore “Jorn”  di Montpeyroux, Languedoc-Rousillon, nel 2004.

Nel mese di dicembre 2009 viene stampato un libro d’arte di grande formato dal titolo Potons d’Unvern (“Baci d’Inverno”), con testo occitano-hindi-italiano, dall’Artistica di Savigliano per la cura di Artivaganti e la collaborazione di 51 artisti. Il libro illustrato è stato offerto ad AIFO per progetti a sostegno di donne in situazioni di disagio. Con la raccolta L’autra armada, edizioni Nino Aragno, 2013 vince il Premio Letterario Nazionale “Salvo Basso”- Città di Scordia.