I Colori della Vita

Chagall Catania 1

GABRIELLA VERGARI.

Librarsi per aria col bellissimo mazzo di fiori che Bella tiene ancora in mano mentre Marc ti volteggia accanto depositando un lievissimo bacio sul tuo viso proteso è uno dei non pochi piaceri offerti al visitatore dalla mostra Chagall. Love and Life attualmente in corso presso il Castello Ursino di Catania (alludo ovviamente alla sagoma predisposta per consentire di fotografare il proprio volto al posto di quello della donna).

Gli altri, variano a seconda dei gusti e della sensibilità individuale, ma fanno tutti capo a questo evento di notevole spessore culturale, già allestito a Roma presso il Chiostro del Bramante e forte di circa centoquaranta opere della collezione dell’Israel Museum di Gerusalemme.

Si può così seguire l’esperienza, tanto umana quanto artistica, di questo Grande del Novecento, fin dai suoi esordi.

Ed ecco Vitebsk che subito appare, dipinta sotto una fitta coltre di neve – simbolo secondo alcuni dell’innocenza dell’infanzia, insieme a due figurine di amanti allacciati  tra loro  ed all’icona di un ebreo errante nell’atto di sorvolare il paese. Radici fortissime, quelle native russe ed ebraiche, destinate a segnare costantemente la poetica chagalliana durante tutta la sua duratura e lunghissima testimonianza. Ma pure a “dialogare” con gli altri movimenti coevi, dal non amato cubismo alle avanguardie francesi.

Ciò che però contraddistingue la particolare proposta di questo allestimento, curato da Ronit Sorek, e lo differenzia da altri anche recenti (si pensi, per dirne una, alla grande retrospettiva del Palazzo Reale a Milano, chiusasi lo scorso febbraio) è la volontà di coniugare l’arte alla vita non solo del pittore ma pure della moglie, l’amatissima Bella, autrice di pagine  finemente illustrate dal marito. Disegni, olii, gouache, litografie, acqueforti e acquerelli  accompagnano perciò il visitatore alla scoperta di un mondo, anche privato, che pur mostrandosi intensissimo non resta geloso di sé ed ama anzi rivelarsi agli altri, perfino nell’incanto di un primo incontro del tutto casuale e tuttavia folgorante: «Aveva i capelli arruffati, un ammasso di ricci che arrivava a coprirgli le sopracciglia, a cadergli sugli occhi che erano azzurro cielo, proprio come se dal cielo si fossero staccati. Aveva degli strani occhi, diversi da quelli della gente: a forma di mandorla, allungati. Distanti tra loro, sembrava che ciascuno navigasse per conto suo come una piccola barca […]» dirà, ad esempio, in First Encounter, Bella di Marc.

Ed in Ma Vie, l’autobiografia che il pittore comporrà tra il 1921 e il 1922 a Mosca, ci saranno pagine e tavole non meno eloquenti sulla donna della sua vita e sulla storia del loro grande amore.

Ma non meno significative appaiono, d’altra parte, le molteplici illustrazioni realizzate da Chagall, su commissione dell’editore Ambroise Vollard, di classici quali le “Anime morte” di Gogol, le Favole di La Fontaine, e soprattutto la Bibbia, con una straordinaria capacità di integrazione tra immagini e contenuti, colori e parole, atmosfere e personaggi.

Davvero si può concordare con quanto afferma l’autore stesso: «Ho dipinto il mio mondo, la mia vita, tutte le cose che amavo, tutte le cose che sognavo, tutte le cose che non potevo esprimere a parole».

Fino ad arrivare al momento più cupo, così della vita come dell’arte di Chagall, il 1944, l’anno dell’improvvisa e prematura scomparsa di Bella nonché dell’imperversare della furia nazista, condensato in una teoria di crocefissioni,  i cui i toni acidi amplificano la disumana barbarie. Eppure lo sguardo bambino e l’incrollabile fiducia nell’amore quale dono divino finiranno per riportare, col tempo, l’artista alla vita. La mostra si chiude proprio in questo modo, con l’esplosione cromatica di una delle sue tele più coinvolgenti: due innamorati abbracciati all’interno di un grandissimo mazzo di fiori rossi su sfondo azzurro. In basso a destra una capra e in posizione un po’ più centrale un grande gallo, motivi iconografici cari e ricorrenti, legati al mondo della natura come alla sfera simbolica, a ricordare la complessità dell’immaginario chagalliano, continuamente in bilico tra realtà e rêverie ma così eloquente da risultare oggi più  amato ed universale che mai.