Paesaggi insorgenti

Quanti siamo figli di contadini?
Figli pochi, nipoti tutti.

copertina

SILVIA PAPI
Sarà stata casualità, sta di fatto comunque che Genuino clandestino, viaggio tra le agri-culture resistenti ai tempi delle grandi opere (Michela Potito, Robert Borghesi, Sara Casna, Michele Lapini, Firenze, 2015, pp. 280 € 18,00), è uscito per quelli di Terra Nuova Edizioni tre mesi prima dell’inaugurazione di Expo Milano e che io mi sia trovata a leggerlo proprio mentre era in corso tutto quel gran parlare del “grande evento”, di quanto sia una presa in giro per allocchi sprovveduti pensare che lì dentro si tratterà seriamente di agricoltura/cibo/alimentazione, delle reazioni mediatiche alla manifestazione No-expo dove la rabbia di pochi ha cancellato gli argomenti di molti, compreso “Genuino clandestino” che, in quell’occasione, manifestava tranquillamente dietro il suo striscione.
Bisogna prendere atto (cito Guido Viale da un articolo su “Il Manifesto” del 12 maggio 2015) – e far prendere atto – che contro quella miseria infinita di cui l’Expo è solo il simbolo più vistoso ed esaustivo, si può aggregare una pluralità di forze ed iniziative ancora assai eterogenee: uno schieramento potenzialmente maggioritario, in barba a tutti i sondaggi e ai media di regime che ci raccontano di una popolazione planetaria che non desidera altro che immedesimarsi con quella simbologia fasulla.

genuino clan
“Genuino clandestino” fa parte di quella pluralità di forze. Dietro quelle due parole ci sono persone che hanno fatto delle scelte di lavoro e di vita in rapporto alla terra e al lavoro della terra, cioè alla coltivazione di prodotti in maniera rispettosa, che significa buona per la terra, per gli animali e per noi umani.
Per collocare meglio questa realtà, per capire, bisognerebbe guardare un po’ alla storia del nostro paese perché, parlando d’Italia, si parla di un territorio che è stato sostanzialmente agricolo fino a poco prima dell’ultima guerra mondiale (settant’anni fa) e che dalla fine del conflitto bellico ha subito uno scriteriato processo di industrializzazione che, in senso sia chimico che meccanico, ha coinvolto anche il lavoro agricolo. Ciò ha significato l’introduzione progressiva delle monocolture intensive in stile americano (che significano anche grande quantità di mano d’opera per periodi brevi), conseguenti consistenti modifiche nell’industria agroalimentare, accentramento della proprietà terriera e addirittura del patrimonio genetico delle piante. Poi c’è stata la competizione col mercato mondiale e – per farla breve – come si sa, sono sempre i piccoli a soccombere, quindi molte piccole e medie imprese agricole a conduzione familiare hanno chiuso e nel nostro paese c’è tantissima terra abbandonata, soprattutto nelle zone collinari e montuose che sono la parte più vasta della nostra penisola.

mercato uno
La situazione oggi è insostenibile e proseguire secondo i criteri che impone il neoliberismo – ormai lo si sa – è suicida. «Un fronte comune contro lo strapotere della grande distribuzione e delle multinazionali è necessario perché si rovescino i rapporti di forza. Le pratiche di contrasto devono necessariamente diversificarsi: il recupero delle terre (secondo un modello che superi la gerarchia tra padroni e lavoratori), la riorganizzazione dal basso della produzione e della distribuzione (l’accorciamento della filiera) e il consumo critico devono andare di pari passo con pratiche di mutualismo, che permettano ai lavoratori iper-precari della terra di uscire dall’indigenza, dall’isolamento e dalla disinformazione cui sono costretti».
“Genuino clandestino” – che ufficialmente nasce nel 2010 – sta dentro questa volontà di sovvertire lo stato delle cose ma il fatto più bello e interessante del libro è che oltre a raccontarlo ce lo fa toccare con mano attraverso le storie dei loro protagonisti e le tante fotografie che, a volte, dicono più delle parole. Molte anche le analisi e le riflessioni teorico-politiche che si intercalano in un volume di oltre duecentocinquanta pagine che, grazie al bel lavoro delle curatrici, riesce in maniera sincera a renderci compartecipi di quanto si sta muovendo nelle campagne italiane.

mercato due
Sono dieci tappe per dieci realtà differenti: dalla riappropriazione collettiva dei terreni del comune di Firenze di Mondeggi/fattoria senza padroni in custodia popolare, a chi coltiva da solo cinque ettari nei dintorni di Roma, nelle campagne della Sabina; c’è la storica comune libertaria di Urupia nelle Puglie e la coppia con podere di loro proprietà sulle colline modenesi che ha scelto la campagna come stile di vita per sé e i propri figli. Il panorama e le storie che incontriamo sono quindi molto diversificati ma uno è il fattore che accomuna tutti, quello di appartenere a un movimento di comunità in lotta per l’autodeterminazione alimentare.
“Genuino clandestino” è nato da comunità locali di cittadini e contadini che si autorganizzano insieme, creano mercati di vendita diretta, sistemi di garanzia partecipata, momenti di scambio di saperi e informazioni. Non è solo le dieci realtà raccontate nel libro ma un intero movimento, senza strutture gerarchiche, che negli anni ha creato forme di resistenza quotidiana alla logica del profitto che, sfruttando la terra e le persone, distrugge relazioni sociali ed equilibri ecologici.
Il libro non cerca di mostrare la realtà più rosea di quanto sia, le difficoltà di chi si ostina a vivere di agricoltura senza grandi investimenti non sono nascoste, però si vedono anche scorci nuovi su paesaggi insorgenti, dove si sperimentano modi buoni di stare in relazione tra le persone e con la terra. Resistere oggi è una necessità per sopravvivere, per tutti, tanto più in agricoltura e le comunità rurali che lo stanno facendo ci mostrano qualcosa che è nuovo e antico allo stesso tempo, un modo di stare sulla terra per nutrirla e nutrirsi che, secondo me, va guardato con grande rispetto e attenzione per non farsi prendere nelle trappole retoriche – Expo docet – e nelle mode superficiali che si appropriano di tutto a loro uso e consumo, anche del linguaggio di chi lotta per costruire la sovranità alimentare.
Il “viaggio tra le agri-culture resistenti” ci aiuta in questo, a vedere l’autenticità dei volti di chi con le mani rivendica il diritto di produrre cibo buono per tutti noi.

L’articolo è originariamente comparso su “A Rivista anarchica” n. 401 – ottobre 2015 (http://www.arivista.org/)

http://genuinoclandestino.it/

http://www.terranuovalibri.it/

campagna