Local Art a Mondovì

LORENZO BARBERIS.

Quest’anno il concorso LocalArt, volto alla promozione di giovani artisti locali, ha toccato Alba e, appunto, Mondovì. La nostra città è stata reinterpretata da quattro giovani artisti che hanno riscritto a loro modo il centro storico di Mondovì Piazza, con opere in grado di ri-significare il territorio in modo interessante.

Mondovì è indubbiamente un regno per eccellenza della “local art” nel senso tradizionale del termine, ovvero una pittura legata a un “Eterno Ottocento” tardo-impressionista (predominio che, a essere onesti, negli ultimi anni sta infine cedendo il passo). LocalArt porta invece in città un’arte “locale”, ma in grado di spiazzare, sorprendere i “luoghi”.

Avendo avuto il piacere di accompagnare gli artisti di LocalArt nella loro esplorazione conoscitiva del monregalese (vedi qui), e avendo poi cooperato con alcuni di loro anche dopo, con ulteriori approfondimenti (vedi qui), ho apprezzato particolarmente il loro intervento che, per Mondovì, è indubbiamente spiazzante (anche nel senso etimologico locale di s-Piazza-nte, riscrittura della storica Mondovì Piazza appunto).

Giulia Savorani riscrive i Portici Soprani della Piazza Maggiore che dà nome all’antico borgo con foto che riprendono vari mitologemi della cultura locale come nel frammento bucolico soprastante.

Si crea così una prospettiva che ci guida (intenzionalmente?) verso il monumento al generale Durando, eroe risorgimentale del Mondovì, assieme ad altri.

Tra le varie foto, spicca questo scorcio in cui si intravvede sullo sfondo il Portale rinascimentale della Cattedrale Perduta di Mondovì, distrutta dai Savoia nel 1573 per far posto alla loro Cittadella Militare.

La sequenza, come anticipato, chiude sul busto di Durando, su cui molto vi sarebbe da dire. Basti accennare dei curiosi due fanciulli che presiedono alle due colonne quasi massoniche che circondano il generale, armati medievalmente e – uno dei due – segnato dai segni di misteriose “lacrime” che gli rigano il volto, di cui l’origine è ignota (non so nemmeno se vi siano ancora o siano state rimosse, certifico però di averle notate, qualsiasi fosse la loro origine).

La seconda presenza sulla Piazza è quella di The Bounty Killart, collettivo artistico che opera con ironiche rivisitazioni di sculture solo all’apparenza classiche. Un buon modo di decostruire la LocalArt, che nell’ambito scultoreo ama molto – anche a Mondovì – un certo classicismo canoviano (per esempio quello del valido Mario Malfatti, ed altri epigoni). La scultura interna alla cassa di imballaggio (un Mosé michelangiolesco che ha sostituito alle tavole della legge uno stereo) viene ingigantita da una particolare anamorfosi, la Macropsia, che dà il titolo all’opera. Un rimando alle anamorfosi barocche che trionfano nella chiesa gesuitica di San Francesco Xaverio che sorge alle spalle della Cassa, i cui affreschi, ad opera del triestino Andrea Pozzo, segnano l’avvio del quadraturismo barocco e delle sue illusioni.

Tra l’altro, non so quanto intenzionalmente, la scultura – mobile, ovviamente, in quanto stazionerà nella Piazza solo per la durata della mostra, fino al 15 novembre – rimanda alla nota e sotterranea ossessione monregalese per lo spostamento dei monumenti. Una sorte che ha toccato il monumento ai caduti di Malfatti, appunto, o la statua del senatore Garelli davanti al comune (per far posto alla – più volte modificata – fontana) o, sulla Piazza, la statua dell’Agricoltura in onore del Grande Agricoltore Sambuy, spostata dal centro della Piazza al Belvedere (promozione, rimozione, o entrambe, alla latina: “promoveatur ut amoveatur”). L’Abate Beccaria davanti ai Licei, invece, è stato derubato del compasso che stringeva in mano da qualche massonico goliarda. Un segno della vitalità della statuaria monregalese, in fondo, che non è mai fissata una volta per sempre, ma tende a una certa motilità.

Infine, Giulia Gallo ha realizzato, ai piedi della Torre del Belvedere – il centrale simbolo cittadino, e fulcro anche del Parco del Tempo che ha occupato recentemente il Belvedere stesso – il suo “Monumento a dodici sviste di tempo” che sembra riprendere (e rovesciare) le dodici meridiane scientifiche realizzate dai Gesuiti nel loro antico Collegio, il Tribunale (ormai, da poco, Ex anch’esso) di Mondovì.

L’opera fronteggia la Torre nel sito dell’Ex-Fontana del Belvedere (ora riempita con un’aiuola) dove i dodici calchi in gesso di altrettanti cuscini ripropongono le dodici ore del Sonno (e del Sogno?) opposte alle dodici ore diurne delle Meridiane, simbolo della razionalizzazione del tempo che viene qui ribaltata.

Voltandoci verso il bel vedere che si può osservare dal Belvedere, ovvero le Langhe, scorgiamo anche sullo sfondo la sagoma della statua dell’Agricoltura sparita dalla Piazza.

Ad Alba, invece, i lavori di Irene Dionisio, con il suo “Limited Edition”, Carlo Reviglio della Veneria con “News Box” e Cosimo Veneziano con “Nessun Dove”. Qui, sul sito ufficiale del progetto, si trova una prima descrizione dei lavori. Ma lascio a qualche altro LocalCritic, di Alba, il compito di proporre una sua decifrazione territoriale del senso preciso di queste opere.