Il senso di Fontana per lo spazio

Fontana manifesto

GABRIELLA MONGARDI.

È stata per fortuna prorogata fino al 4 ottobre (anziché chiudere il 30 agosto) la Wunderkammer che la GAM di Torino ha dedicato a Lucio Fontana, raccogliendo in un’unica sala ipogea alcune delle opere più significative dell’artista italo-argentino presenti nelle collezioni del museo. Ed è davvero una “camera della meraviglie” quella che accoglie nella sua oscurità il visitatore: in essa il grande disco giallo di Concetto spaziale (1952), da poco restaurato grazie all’Associazione “Amici della Fondazione Torino Musei”, si confronta con due Teatrini, con Attese e con trenta preziosi disegni, che sono per così dire le bozze, gli appunti di motivi da riprodurre poi su tela o in scultura.

Fontana disegno

Chi scrive ricorda di aver visto quello che allora si chiamava Fiore appoggiato sul prato davanti alla GAM con l’erba che vi cresceva dentro e intorno: otto sottili lamiere metalliche di un giallo intenso, sagomate e forate, sporche e un po’ arrugginite, indecifrabili e fredde. Molto meglio l’allestimento attuale che, oltre a sottolineare nel pannello introduttivo quanto di rivoluzionario ci sia nello “spirito antimonumentale” dell’opera, sviluppata su una dimensione totalmente orizzontale, documenta la vertiginosa fuga in avanti di Fontana, la sua “fascinazione per gli spazi siderali delle galassie”, o piuttosto per lo spazio tout court.

Fontana, Concetto spaziale (Fiore)

Fontana, Concetto spaziale (Fiore)

Noi siamo abituati a pensare lo spazio come un contenitore vuoto, una sorta di grande ‘scatolone’ a tre dimensioni in cui sono collocati tutti gli ‘oggetti’ del mondo a noi conosciuto: ma la fisica moderna ci insegna che non è così. La Relatività Generale di Einstein ha dimostrato che lo spazio è un campo, il campo gravitazionale: una specie di immenso mollusco mobile in cui siamo immersi, che si può comprimere, storcere, incurvare. I pianeti girano intorno al Sole e le cose cadono perché lo spazio, là dove c’è materia, si incurva; l’universo è solcato da grandi onde simili alle onde del mare, talvolta così agitate da creare i varchi che sono i buchi neri (C. ROVELLI, Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi, Milano 2014).

Fontana con i suoi “Buchi”, i suoi “Tagli”, i suoi “Teatrini”, con la sua inesausta ricerca in cui sperimenta con materiali diversi la possibilità di andare oltre il diaframma della superficie (della tela, della carta, del metallo), esprime nel modo più ‘concreto’ possibile, con istinto sicuro, questa nuova concezione dello spazio, grazie alla sua sensibilità, alla sua intuizione di artista.

Fontana Teatrino

Tutte le sue opere, a partire dagli anni ’50, si chiameranno Concetti spaziali: a volte a questo si aggiunge un secondo appellativo, come Attese per i “tagli” o Teatrini, per opere a colori uniformi (in mostra: il rosso e il nero), caratterizzate da cornici di legno laccato che fungono da quinte per uno sfondo solcato da buchi e distanziato da una riquadratura profilata di forme astratte: un modo per ‘imprigionare’ lo spazio, o per rappresentarlo come una prigione. Al contrario le Attese, monocromatiche anch’esse, con i loro plastici tagli alludono invece all’incurvarsi dello spazio e alla sua morbida, aperta infinità.

Fontana Attese

Ed è nella creazione di “Ambienti spaziali” che la sintesi delle arti verso cui Fontana tende trova il suo punto d’arrivo più felice: abbattere le barriere tra disegno, pittura e scultura, per rendere in qualche modo percepibile ai nostri sensi limitati lo spaziotempo infinito, multidimensionale, che ci avvolge. 

(Le fotografie (autorizzate) sono opera dell’autore dell’articolo)