Finanza per indignati: garbugli azzeccati – Terza parte

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VILMA AMERIO

Qui si trova la Prima parte e qui la Seconda parte

Il filo da disbrogliare

“Che finalmente ci metta nel mezzo di una verità” (E. Montale, I limoni ). Il poeta parlava d’altro, ma le sue parole vanno benissimo per riassumere il progetto di una finanza – e di una vita – alternativa. Ci sono vari nodi da sciogliere: la finanza casinò, il riassetto dell’Europa, la questione del debito pubblico, la spesa pubblica. Poiché nei due contributi precedenti si è parlato prevalentemente degli ingarbugliati meccanismi finanziari, è più opportuno concentrare l’attenzione su che cosa servirebbe per riportare la finanza, da obiettivo assoluto ed autoalimentato (soldi per fare altri soldi), alla sua più naturale funzione di strumento a vantaggio del bene comune. Servirebbe ‘una drastica cura dimagrante’ ed un forte ridimensionamento del suo peso e del suo ‘catastrofico’ impatto sull’economia reale. Si tratta insomma di una trasformazione radicale che passa attraverso numerose, e tutte necessarie, alternative possibili.

Chiusura del sistema bancario ‘ombra’.  La soluzione più sicura sarebbe proibire in blocco le cartolarizzazioni e i derivati. Finché sarà possibile alle banche portare fuori bilancio, nell’‘ombra’, la maggior parte delle loro attività, che possono dare profitti smisurati ma anche debiti stratosferici, nessuna regolamentazione ‘ufficiale’ avrà la minima influenza ed esse (banche) continueranno a determinare lo stato sempre più grave delle finanze pubbliche. Questo è il cuore del problema. Per giungere alla soluzione netta di chiudere la ‘finanza ombra’, occorre intervenire in vari punti nevralgici.

Narrow banking, cioè attività bancaria ristretta. Le banche non possono più restare giganteschi conglomerati “troppo grandi per fallire”, ma vanno smembrate in diversi tipi, ognuno con la sua specializzazione regolamentata, banche commerciali, banche di investimenti ecc. Inoltre se le grandi banche sono state salvate con soldi pubblici, perché lo Stato non può esercitare su di esse una qualche forma di controllo? Sarebbe costato meno nazionalizzarle e ridimensionarle che lasciarle fare e poi salvarle.

Diminuire la leva finanziaria. Non deve essere consentito di usare la leva finanziaria oltre un certo limite. “Soggetti privati possono operare senza problemi con leve finanziarie anche superiori a 50 a 1, il che significa un rapporto fra debito e capitale proprio del 5000 %”. Perché invece gli Stati non possono superare un rapporto debito/ PIL oltre il 60 %? E, se lo fanno, oltre a rientrare ‘forzatamente’ dell’eccesso di debito, devono pagare pesanti sanzioni e multe?

Riformare le agenzie di rating. Ora sono imprese private che hanno il potere di giudicare (di dare voti a) gli Stati sovrani e di influenzarne pesantemente le politiche economiche. Si deve andare verso la costituzione di un’agenzia di rating pubblica e sovranazionale, e moderare il peso e l’importanza dei voti emessi.

Regolamentare i derivati. Occorrono per questo tre provvedimenti:
Gli over the counter, i fuori borsa devono essere regolamentati e trattati su piattaforme elettroniche che ne assicurino la trasparenza e le informazioni.
L’utilizzo di un derivato deve prevedere la consegna del ‘sottostante’ (sia esso valuta, petrolio, prodotti agroalimentari o altro).
La leva finanziaria per il loro acquisto deve essere drasticamente ridotta. Non è possibile consentire l’utilizzo di una leva di 350 a 1, come a volte avviene, che non permette neppure di stabilire la dimensione complessiva delle operazioni.

Tassare le transazioni finanziarie. È semplice: si tratta di un’imposta piccolissima, pari allo 0,05 %, su ogni acquisto di strumenti finanziari. Cioè tutte le transazioni, compra-vendita-scambio, dovrebbero pagare una tassa minuscola, cosa che non scoraggerebbe i ‘normali’ investitori, ma che sarebbe una bella mossa contro le ‘transazioni ad alta frequenza’ gestite dai computer, che avvengono in secondi o millesimi di secondo. È comprensibile che le lobby della finanza siano altamente contrarie perché questo umilissimo balzello renderebbe più trasparenti e tracciabili le operazioni, frenerebbe un po’ il delirio speculativo, permetterebbe di controllare i flussi di capitale in entrata ed uscita dai Paesi. Perciò “non s’ha da fare”. Eppure permetterebbe di recuperare un gettito di 200 miliardi di euro nella sola Europa. Invece è meglio far collassare la Grecia per qualche miliardo di euro che fare il solletico agli speculatori!

Combattere i paradisi fiscali. In sintesi, per evitare di addentrarsi in un vero e proprio labirinto, occorrono tre tipi di intervento:
Siglare un trattato multilaterale fra gli Stati e i cosiddetti ‘paradisi fiscali’, che preveda uno scambio di informazioni automatico e non su richiesta (come avviene ora, perché, quando esistono, gli accordi sono bilaterali, con scambi di informazioni su richiesta)
Introdurre l’obbligo di rendicontazione Paese per Paese dei dati contabili e fiscali delle imprese multinazionali
Introdurre l’obbligo di rendicontazione Paese per Paese dei dati contabili delle imprese ‘nazionali’ (che, Italia compresa, hanno un incredibile numero di filiali, succursali e controllate nei paradisi fiscali).

Controllare i flussi di capitale. In nome del ‘libero mercato’, negli ultimi anni sono stati rimossi quasi tutti i vincoli sui movimenti di capitale in entrata ed uscita dai Paesi. In questo modo i capitali si muovono continuamente alla ricerca del massimo profitto nel minor tempo possibile, il che corrisponde a: evasione fiscale planetaria, aumento del debito pubblico con rischio di default (i capitali tendono a fuggire da un Paese alle prime avvisaglie di difficoltà), crisi finanziaria interminabile (che non danneggia gli speculatori, ma una stragrande massa di cittadini ‘a loro insaputa’). Con la tassa sulle transazioni finanziarie si porrebbe già un freno al delirante andirivieni dei capitali, combinandola poi con altre forme di controllo degli stessi in entrata ed uscita.

Dunque, al modello finanziario oggi imperante le alternative ci sono e sono ben più numerose ed articolate di quelle a cui si è fatto cenno fin qui.   MA.    Chi deve decidere a favore di un nuovo modello economico-finanziario molto, molto difficilmente compirà una tale scelta.

E ALLORA ?  “Di fronte all’incapacità di chi ci governa, spetta ai milioni di donne e uomini che in tutto il mondo sono già attivi su questi percorsi [consumo critico, finanza etica, ambientalismo ecc.] il compito di informarsi, resistere, elaborare e costruire questa nuova strada, unendo le forze e portando avanti diversi percorsi in parallelo: cambiare modello economico e finanziario, riappropriarsi degli spazi di democrazia, modificare i nostri comportamenti quotidiani e i nostri stili di vita, decidere sull’uso che viene fatto dei nostri soldi”.

E, repetita iuvant, darsi molto da fare per diventare massa critica così da rovesciare il tavolo della finanza. Il campo d’azione è vastissimo, bisogna solo cominciare, o continuare nel cammino, del resto “il sentiero si fa camminando”.

Dopo aver letto tutto e attentamente questo bel testo di Andrea Baranes, la spinta ad agire potrebbe/dovrebbe essere impellente. Oppure va bene che “oltre il 98 % dei capitali che circolano nel mondo non ha nessuna finalità produttiva e non è legato all’economia reale, ma serve unicamente alla speculazione, ovvero a fare soldi dai soldi nel più breve tempo possibile”? La domanda è retorica, la risposta dipende da noi.

Analisi critiche, elaborazioni e proposte alternative si possono trovare sul sito : www.sbilanciamoci.org a cui l’autore collabora attivamente.

(3 – fine)

ANDREA BARANES (Un’inchiesta di), Finanza per indignati, Ponte alle Grazie, 2012

Su Andrea Baranes vedere qui
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Di Vilma Amerio su Margutte: Il Tao della liberazione