L’incredibile storia del profeta Mansur

12Cap  XII

Dodicesima puntata - La strana cella del dottor Boetti

FRANCESCO PICCO

Viktor seguì padre Hovan fino alla sua cella. Si rese conto solo allora di una cosa: in un anno intero di permanenza al convento, non aveva ‘mai’ visto la cella di padre Hovan. Il cuore cominciò a battergli forte, man mano che si avvicinava alla lontana ala del convento dove il padre taumaturgo viveva isolato in disparte dagli altri frati. Non sapeva che cosa ci avrebbe trovato, ma era certo che sarebbe stata un’emozione intensa scoprirlo.

La sua attesa non fu delusa.

Padre Hovan chiuse la porta alle spalle di Viktor. Il ragazzo si trovò immerso in un’avvolgente penombra. Molto più di una penombra, a dire il vero. Era praticamente oscurità. Ma le sue giovani pupille si abituarono ben presto al buio e cominciarono a distinguere senza difficoltà gli oggetti.

Nella stanza di padre Hovan c’era un mobile di legno scuro su cui era appoggiato un grosso crocefisso. Le due assi della croce erano di mogano, il corpo di Cristo di alabastro. Non era un’opera in stile russo o armeno, ma in stile rinascimentale italiano. Era anche l’unico oggetto che facesse pensare alla stanza di un frate.

Per il resto, tutto quello che Viktor vedeva era come un pugno in un occhio. A terra, vicino al letto, c’era il modello anatomico di una donna incinta con il ventre aperto. Addossato a questo manichino, un alambicco. Accanto all’alambicco, una pignatta ripiena di un liquido verdastro che Viktor credette di identificare come bile umana. Sopra il letto, aperto, un volume del “De Humani Corporis Fabrica” di Andrea Vesalio. Sulla pagina di sinistra uno scorticato tinto di rosso faceva bella mostra di sé.

A Viktor girava la testa. Si sedette sulla sponda del letto, senza nemmeno chiedere permesso a padre Hovan, che sembrò non accorgersene. Viktor cambiò così il suo angolo di visuale, e scoprì che le altre pareti della cella presentavano un aspetto del tutto diverso. C’era sul pavimento, vicino alla parete di fronte, un lungo oggetto ricurvo che sembrava una pipa ma era molto più grande e complicato. Appese al muro, alcune scimitarre indubitabilmente turche. E altrettanto turchi cinque o sei turbanti, di vari colori, e un paio di fez: tutti ammucchiati su una cassapanca dove c’erano alcuni libri di molto pregio con titoli impressi in un alfabeto ignoto. I libri, messi uno accanto all’altro come mattoni, sorreggevano una sorta di rotolo pergamenaceo avvolto intorno a un perno di legno. Alle pareti tutto era turco, orientale, arabo: alcune scritte su lamine d’oro, una mano di bronzo, un candelabro d’ottone a muro, un’altra mano metallica (ma rovesciata) sormontata da iscrizioni in un altro alfabeto altrettanto ignoto.

E infine, il diploma di laurea. Non aveva nulla di orientale, questo; ma fu per Viktor la più grande sorpresa. Era identico al suo. Recava lo stemma dell’Università di Torino. Si avvicinò per leggerlo. C’era scritto a chiare lettere, questa volta latine, che il Magnifico Rettore dell’Ateneo torinese rilasciava a Giovanni Battista Boetti la laurea in Medicina e quella in Chirurgia.

Viktor si mise di nuovo seduto. Si rese conto che di padre Hovan lui in realtà non sapeva niente. Intanto, il vecchio taumaturgo (ma forse avrebbe dovuto chiamarlo ‘collega’, a questo punto…) si mostrava indifferente ai malesseri del suo giovane ospite. Si era avvicinato a quella specie di grande pipa ricurva che Viktor aveva adocchiato a terra. Aveva iniziato ad armeggiarci intorno, mormorando parole incomprensibili. Viktor vide che il vecchio accendeva un fuoco. I riverberi delle fiamme illuminarono di un bagliore infernale l’intera stanza.

Il ragazzo deglutì e cominciò ad avere paura.

(Continua)

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Illustrazione di Franco Blandino