Cabalinguistica al Lionetto

manif

LORENZO BARBERIS

L’arte cabalinguistica di Marco Roascio ha di recente ricevuto un’importante attestazione in quel di Milano, dove l’artista ha presentato la sua invenzione, la Cabalinguistica, nei giorni immediatamente precedenti l’Esposizione Universale. In occasione di tale talk Roascio ha avuto modo di affermare:

“Il messaggio lanciato dalla cabalinguistica può essere accolto solo se accompagnato da un contatto col pubblico. La disciplina comporta una spiegazione.  Ciò può nuocere? Non direi. L’Arte, se la si vuol comprendere, deve anche appoggiarsi, talora, su chi la ha generata. Sotto questo profilo il mio prossimo impegno si paleserà a breve  con una mostra sul territorio cuneese.”

Roascio ha così annunciato la presente esposizione presso il circolo culturale monregalese, il Lionetto, che ho volentieri curato per fare, come dice l’autore, “il punto su sette anni di pittura estemporanea dalla valenza cabalinguistica.”


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Il Lionetto


Una digressione a parte merita il Circolo Lionetto, sorto nel 1994 per impulso di Paolo Somà e quindi giunto (attraverso una pausa di chiusura tra 2008 e 2014) al suo ventennale nel monregalese, che vede la ri-inaugurazione delle sale di Villanova con questa mostra di Roascio.

Il nome deriva da Lionetto, duca di Clarence, secondo figlio del re d’Inghilterra (cui Somà dedicò una imponente tesi di laurea storica), che nel 1368, sposando a Milano Violante Visconti, acquisiva la signoria di Mondovì insieme a molti altri possedimenti viscontei (la dote suscitò clamore nell’Europa del periodo).  Egli però morì in quell’anno ad Alba (si sospettò, come di prammatica, un avvelenamento da parte del suocero) e Odoardo il Dispensiere, capitano del suo esercito, rifiutò la restituzione del dono di nozze ai Visconti, cedendolo invece al Marchese del Monferrato. “In questo modo singolarissimo Mondovì cambiò padrone” osserva il buon vecchio Michelotti nella sua storia cittadina del 1920. Curiosamente Goeffrey Chaucher era paggio al suo servizio, e durante questo viaggio in Italia presumibilmente viene a conoscere il Decameron (e in particolare la sua ultima novella, dedicata a Griselda di Saluzzo, tradotta in latino da Petrarca, che egli riprenderà nel suo Canterbury Tales).

Presso il Lionetto, nel lontano 1996, esposi anch’io una mostra di mie tavole di fumetto, quando ancora mi dilettavo in quest’ambito, prima di passare più saggiamente alla critica d’arte, dove esordii nel 1997, sul “Mondovì”, testata settimanale nata e cresciuta attorno al Lionetto stesso, fino alla sua trasformazione (verso, mi pare, il 1999-2000) nel primo giornale online della provincia di Cuneo, PMNET.

Su PMNET scrisse anche Roascio nei primi anni 2000, cosa che si riflette anche nella sua parallela attività artistica: alcuni dipinti sono ripresi, infatti, da situazioni di cui ha scritto giornalisticamente, come vedremo.

Bisogna premettere che l’operato artistico di Marco Roascio inizia ben prima della Cabalinguistica, verso il 1982, quando avvia una prima produzione grafica, in bianco e nero, basata su un segno minuzioso, con cui opera fino ai primi anni 1990 (quando risale, ad esempio, questa Perplexity e opere analoghe). Un segno fitto, intenso, minuzioso, che riflette in parte, se vogliamo, la formazione tecnica del Roascio perito agrario.

La ripresa dell’attività artistica, dopo uno iato corrispondente in buona sostanza agli anni ’90, rinasce nei primi anni 2000, inizialmente su un percorso simile, come questo Wisdom del 2001.

Seguono altre opere, e l’inserimento graduale del colore, che l’artista inizia a sperimentare nel 2003 trovando una sintesi personale nel 2004, che ottiene anche un buon apprezzamento sulla scena artistica monregalese.

Esempio di questo approdo al colore è la prima opera presentata in mostra, “La saletta” (2005), ormai opera della fase astratto-cromatica matura, che illustra in chiave cubista una stanza sita in Mondovì Piazza. La saletta, appunto, si apre più che con le piccole finestre tramite lo squarcio a forma di ruota dentata sul soffitto, da cui traspare la Torre del Belvedere con il cerchio dei padelloni sostituito da un foro circolare (assenza del tempo, alla Dalì) mentre la Sala appare adornato da uno stemma monregalese, come appunto l’ultima sala dell’antico palazzo di città. Una curiosa figura astrattizzata e mostruosa occupa il centro della sala, mentre ramificazioni affollate riempiono i tre lati del quadro.

Dell’anno seguente è Col-Pi-D-Occhio (2006), che se non modifica molto della sintesi astratta introduce però il tema del gusto per il gioco di parole, la più immediata Sciarada e non ancora l’Anagramma su cui si incentrerà la Cabalinguistica. Ma del resto la Sciarada (che io amo molto nei giochi linguistici) è se vogliamo un ossimorico Anagramma senza permutazione, in cui si permuta solo lo spazio posto tra le parole. Così i “Colpi d’occhio” del quadro astratto possono divenire anche un più prosaico “Col pidocchio”. Il riferimento, in ambo i casi, è alla venatura del legno che diviene parte del dipinto, come spesso nell’arte roasciana.

(particolare dell’opera)

Un’evoluzione avviene nel 2006 con “The Rock Effort”, opera che di nuovo crea un calembour (quasi una sciarada) con il nome di Roccaforte, comune del monregalese, ove Roascio partecipa all’estemporanea con un’opera ispirata sì al paesaggio locale, ma non in modo convenzionalmente encomiastico, ma trasponendo invece in pittura una bizzarria locale: il triplice cartellone assegnato alla Via Don Michele Unia. Si tratta di temi di cronaca locale di cui Roascio scrive anche, nello stesso periodo, nel succitato PMNET di Somà; in qualche modo, quindi, la presentazione di queste opere alla riapertura del Lionetto chiude in qualche modo un circolo.

La nascita dell’operazione “cabalinguistica”, ovvero quadri che nascono da anagrammi, nasce all’estemporanea di San Bartolomeo di Chiusa Pesio, nel 2008. che diventa “Ideerò un boscaiolo shampista”. L’inserto di quest’elemento testuale produce il ricorso a segni fumettistici come la nuvoletta di pensiero, tramite cui il Boscaiolo si pensa Sciampista, appunto.

“Estemporanea d’arte a Chiusa Pesio” (2009), l’anno dopo, produce “Paracadutereste homo sapiens? Eia!”. Vediamo come questo lavoro sia già più elaborato stilisticamente, ed unifichi gli elementi della fase astratta-cromatica con il concetto anagrammatico, aggiungendovi elementi pop già introdotti come il collage e il fumetto. Il risultato è anche visivamente più apprezzabile, e sarà in effetti maggiormente apprezzato in loco, tanto che l’opera tornerà a Chiusa Pesio in una successiva esposizione.

Nel 2010, a Morozzo, gli anagrammi si moltiplicano e si integrano in un quadro complesso, che integra astrazione, collage, riferimento anagrammatico al luogo e riferimento a una situazione locale, anche qui, di cartellonistica stradale inesatta (Roascio va spesso ad operare su questo elemento). L’elemento pop più vistoso, con il Fumetto, va nuovamente a sparire, e resta l’uso dell’astrazione unito con l’anagrammatica inserita a collage.

L’effetto è una sorta di dinamico futurismo anagrammatico, ma come al solito è impossibile consolidare l’arte di Roascio in un qualche sia pur indicativo riferimento preciso, perché si è già avviata una nuova evoluzione.

Questo dipinto, ad Albenga 2012, non presenta anagrammi per la singolarità del fatto che l’autore si era recato alla consueta estemporanea per poi non trovarne traccia, e allora realizzò questo pezzo, puramente astratto e privo di riferimenti anagrammatici.

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Per contro, nel 2012 iniziava anche la Grande Opera della Cabalinguistica, in cui Roascio passa in modo più definito al puro anagramma. Anche prima Roascio aveva effettuato esperimenti puramente testuali, come riscritture in tautogrammi di classici della letteratura ed altro; ma qui, con l’uso di anagrammare ogni giorno data e santo del calendario, pubblicando poi l’anagramma ottenuto su FB, si arriva ad un progetto sistematico di vasta portata che è diventato decisamente preminente nella sua arte (il progetto è ininterrotto finora, al 2015: e c’è materiale, ormai, fino al 2018).

Questa la ricerca presentata appunto, come detto all’inizio, a Milano. E oltre agli anagrammi “del giorno”, include ovviamente interventi anagrammatici “estemporanei” come ad esempio quello qui sopra, che prende il nome delle 22 frazioni di Villanova (22, come le lettere dell’alfabeto ebraico) e le anagramma ottenendo un efficace teaser della mostra.

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Non mi resta quindi che concludere invitandovi a visitare questa curiosa esposizione, e ringraziando il bravo Elia Vasquez che ha scritto di noi presso La Guida di Cuneo, nonché Marta Borghese per l’Unione di Mondovì.

unione

Le fotografie (autorizzate) sono opera di Margutte