La grande bufera

Comizio-Agrario-di-Mondovì

ATTILIO IANNIELLO
Il Comizio Agrario di Mondovì e l’inizio della I Guerra Mondiale.
Il Comizio Agrario di Mondovì era l’ente che in quegli anni rappresentava, tutelava e promuoveva non solamente i diritti delle diverse categorie di coltivatori (affittuari, mezzadri, piccoli e medi proprietari) ma anche i miglioramenti colturali. Allo scoppio del primo conflitto mondiale, nell’estate del ’14, la prima reazione del Consiglio direttivo del Comizio fu di piena condanna della guerra come soluzione dei problemi tra le diverse nazioni:

«Una grande bufera sta sconvolgendo il suolo dell’Europa. Essa fu voluta dagli uomini. Perché l’uomo è ancora un animale tanto selvaggio e così poco ragionevole da perdere molto sovente la testa e non saper più pensare se non con le mani che percuotono o con i cannoni che distruggono.
La bufera degli uomini farà molto male e molto danno; molto di più di quanto non ne abbiano mai fatte le bufere del cielo. Quando una grandinata devasta i nostri raccolti quasi maturi si dice “il cielo non è giusto”. E oggi chi oserà dire che sia giusto l’uomo per tutto il male che fa?
Agricoltori! L’uomo porta ancora il peso della sua cattiva educazione e della sua cattiva origine. Educate diversamente i vostri figli, date loro un’altra anima, un’altra testa, un altro cuore che siano migliori dei nostri.
Fate che imparino bene e sappiano rispettare sempre la grande sentenza: ama il prossimo tuo come te stesso.
La guerra avrà tristi conseguenze anche se non colpirà direttamente il nostro Paese. Avremo scarsità di danaro; forte disoccupazione, vita cara, miseria»[1].

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Di fronte ai mali che la guerra avrebbe portato, il Comizio invitava i coltivatori a intensificare le produzioni agricole, in particolare il frumento affinché potesse essere garantito

«il pane per tutti: per noi e per i figli; pel giusto e per l’ingiusto; per l’amico e pel nemico»[2].

Una delle preoccupazioni che trasparivano dagli scritti dei protagonisti della vita del Comizio di Mondovì era infatti la carenza produttiva dell’agricoltura italiana di generi alimentari di prima necessità. Si importavano molte derrate dai Paesi esteri e la guerra poteva creare pesanti conseguenze sia sul rifornimento sia sul prezzo di tali derrate. Il presidente del Comizio Umberto Cordero di Montezemolo così si espresse nella sua relazione sull’operato del Comizio nell’anno 1913-14:

«entro io pure a parlare di quello che è il più doloroso ed il più triste argomento al giorno d’oggi: la guerra europea. Quali conseguenze ha avuto, quali potrà avere? La difficoltà del rifornimento del grano (è noto che l’Italia deve importare annualmente 10 e più milioni di quintali di frumento), il prezzo elevato raggiunto da questo cereale, il dubbio sulla parte che l’Italia potrà prendere in avvenire nel conflitto europeo, hanno consigliato una maggiore estensione di semina autunnale del frumento. Al consiglio non è seguito l’atto pratico, in quanto fu già molto se causa le piogge poté seminarsi la superfice normale degli anni decorsi»[3].

Le stesse preoccupazioni venivano pubblicate su “L’Agricoltore Monregalese” del 22 aprile 1915 in un editoriale intitolato “Pensando al domani”:

«Chi osa oggi pensare al domani?
La guerra feroce che si combatte in altre parti d’Europa, le stragi alle quali furono sottoposti paesi civili, ricchi e più progrediti del nostro; le privazioni alle quali sono sottoposte le popolazioni dei paesi in guerra, ci fanno pensare e domandare con spavento: e se domani altrettanto avesse a toccare anche a noi? Se altrettanto dovesse toccare anche a noi ci troveremmo forse in condizioni peggiori di tanti altri; perché da noi, più che altrove mancano i generi di prima necessità pel consumo umano».

Ma il Comizio si trovava ad affrontare un’altra conseguenza del conflitto europeo, il rimpatrio di migliaia di lavoratori italiani dall’estero. Questo ritorno di emigrati prestava il fianco a nuove forme di sfruttamento della manodopera nelle aziende agricole, annullando l’opera di educazione alla solidarietà che l’ente agrario monregalese andava compiendo da decenni. Il direttore del Comizio, il cattedratico ambulante Alessandro Gioda, pubblicò uno dei suoi celebri dialoghi tra un professore ed un contadino proprio su questo tema:

«- Quanta miseria professore! L’altro giorno sono andato fino a Savona e nel tornare indietro ho veduto sulla nostra linea ferroviaria due treni carichi di operai che erano scappati dalla Francia e dalla Germania.
- Sono queste le tristi conseguenze della guerra che risentiamo anche noi, pur essendo per nostra fortuna fuori dello spaventoso conflitto.
- Tutta questa povera gente avrà da studiare a mangiare; mi dicono che molti non hanno neppure potuto prendere il loro salario guadagnato con grande fatica e stenti.
- Proprio così: questa povera gente che, lontano dal paese, aveva sperato farsi un poco di economie e una buona posizione, deve ritornare in ben misere condizioni.
- Però professore, non tutto il male viene per nuocere. Questa gente tornando in paese dovrà pure mangiare; e se vorrà mangiare dovrà accontentarsi di paghe più piccole. Era tempo che la mano d’opera ribassasse!
- Non le dite queste cose; la miseria non ha mai fatto bene a nessuno. Quando un operaio guadagna poco, spende anche poco. […] In questi ultimi anni la mano d’opera si è fatta pagare di più, è vero; ma forse che l’agricoltura è andata in rovina?»[4].

Il 24 maggio 1915 il mondo rurale monregalese, benché fortemente critico nei confronti della guerra, prese atto dello stato di belligeranza del nostro Paese ed invitò gli agricoltori ad unirsi fiduciosi alle scelte del governo:

«Oggi non più discussioni, non più recriminazioni, non dolorosi e vani rimpianti. Altra volta abbiamo detto che la guerra è un residuo barbaro di quei tempi nei quali l’uomo era più bestia che uomo; altra volta abbiamo detto: tutti debbono lavorare seriamente, non a parole, ma a fatti, perché in avvenire questo atto di barbarie non abbia più a ripetersi.
Ma oggi un pensiero solo ci deve tenere tutti uniti, concordi, fiduciosi. Quello che il Re ed il suo Governo hanno preso quei provvedimenti che nella loro saggezza hanno creduto migliori per la nostra patria»[5].

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Nonostante l’invito rivolto ai giovani agricoltori chiamati alle armi di essere coraggiosi difensori della patria, il Comizio monregalese non taceva sulle proprie pubblicazioni i danni e le difficoltà che la guerra portava al mondo rurale (incetta bestiame per l’alimentazione dei soldati al fronte, incetta foraggio, ecc.):

«Alla dichiarazione di guerra, seguì un’affannosa organizzazione dei servizi militari di sussistenza dell’esercito, per i quali gli organi consueti di rifornimento si mostrarono inadatti. L’accaparramento dei bovini da parte dei fornitori militari era fatto alla cieca, con prezzi sempre crescenti, che finivano per tradursi in reale danno dell’agricoltore, il quale vendeva più del necessario e non era poi in grado di rifornirsi neppure del bestiame indispensabile.
[…]
In condizioni tutt’ora anormalissime si svolge il commercio del fieno per l’esercito e questa anormalità rasenta l’amoralità in quanto fu dato ad una ditta privata la facoltà di valersi di un decreto di requisizione del fieno a proprio vantaggio e profitto»[6].

Il caro viveri che accompagnò il periodo della guerra spinse poi i comuni del circondario di Mondovì a creare il 6 maggio 1917 un ente autonomo intercomunale dei consumi che aderiva alla Cooperativa Agricola monregalese per acquisti collettivi di generi alimentari.
Un altro problema però gravava in modo pesante sull’attività agricola: la scarsità di manodopera.
Infatti di fronte alla mobilitazione che nella primavera del 1915 richiamò alle armi numerosi contadini privando l’agricoltura di braccia valide proprio nella stagione di maggior lavoro agricolo, il Comizio Agrario di Mondovì radunò i rappresentanti delle municipalità del circondario per decidere collegialmente

«quali provvedimenti fosse il caso di prendere a rendere meno sentito il danno della deficienza della mano d’opera»[7].

In realtà nel corso della riunione e degli incontri seguitisi per tutto il maggio del 1915 non si riuscì a prendere decisioni di sicuro effetto per risolvere i problemi dell’agricoltura, si sottoscrisse solamente un programma di lavoro che ogni municipalità avrebbe promosso secondo le proprie necessità e forze.
Il programma di lavoro era soprattutto un elenco di consigli su cosa fare, che comprendeva l’aiuto reciproco tra famiglie rurali, l’utilizzo di operai dell’industria per i lavori agricoli, la creazione di cooperative per l’acquisto e l’uso dei macchinari, l’invito alle donne a sostituire i familiari maschi partiti per il fronte:

«Ricordino bene gli agricoltori che nessun provvedimento sarà mai tanto efficace, quanto l’aiuto reciproco e disinteressato che una famiglia potrà dare all’altra.
[…]
Nelle attuali circostanze gli operai di alcune fabbriche potrebbero venire impiegati nei lavori campestri; perché vi sono fabbriche nelle quali gli operai lavorano soltanto mezza giornata al giorno in causa della scarsità e dell’elevato prezzo del carbone.
[…]
Veniamo all’uso delle macchine, alle quali è naturale che quest’anno si debba largamente ricorrere. Tre sono i tipi di lavoro che possono essere compiuti a macchina là dove speciali condizioni di terreno o di coltura non lo impediscono: la falciatura, la mietitura, la trebbiatura e l’aratura»[8].

Le fabbriche monregalesi però frapposero difficoltà di indole tecniche per l’utilizzo dei propri operai e gli stessi coltivatori rimasti nelle aziende agricole non vedevano di buon occhio l’intrusione di “estranei” nei loro fondi.
Anche il sogno del Comizio, in particolare di Alessandro Gioda, di diffondere l’uso collettivo delle macchine agricole naufragò:

«Un più vasto campo di azione ritenevamo potesse essere riservato all’uso collettivo delle macchine agrarie e d’accordo con la Cooperativa agricola si era predisposto tutto un ben studiato lavoro di organizzazione di squadre, di operai e di noleggio di falciatrici e di mietitrici. Anche questa iniziativa ebbe esito assolutamente negativo»[9].

Diversi piccoli e medi proprietari agricoli preferirono acquistare macchine agricole per usarle esclusivamente nella propria azienda.
A continuare il lavoro dei campi dei tanti uomini al fronte si impegnarono certamente gli anziani contadini, le donne ed i bambini:

«L’agricoltore si è arrangiato; le donne sono tornate ai lavori dei campi e le si vedono persino usare (con poca pratica ma con soddisfacenti risultati) la falce. I vecchi che godevano la pensione… del lavoro giovanile, sono tornati al lavoro per quanto possono. I ragazzi hanno lasciato le scuole; l’autorità scolastica chiude a questo proposito un occhio; e fa bene. Con ciò non vogliamo dire che tutti i lavori si compiano: alcuni furono abbandonati (molto seme bachi, ad esempio, fu buttato), altri sono rimandati, altri sono trascurati… si fa quello che si può»[10].

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Il Comizio Agrario di Mondovì concentrava quindi la sua attenzione sul lavoro delle donne contadine, contemporaneamente, inoltre, si preoccupava del crescente numero di orfani di guerra, bambini per la stragrande maggioranza del mondo rurale. Iniziava così una collaborazione con la Curia monregalese, collaborazione che portava alla realizzazione, a conflitto bellico terminato, della Colonia Agricola provinciale di Mondovì [11].

Note
[1] Cfr. Una grande bufera, in “L’Agricoltore Monregalese” del 15 agosto 1914.
[2] Ibid.
[3] Cfr. in “Bollettino del Comizio Agrario per il Circondario di Mondovì” (in seguito Bollettino C.A.M.) del 20 aprile 1915
[4] Cfr. A. Gioda, La grande amica, in L’Agricoltore Monregalese” del 3 settembre 1914.
[5] Cfr. L’agricoltura di fronte alla guerra, in “L’Agricoltore Monregalese” del 2 giugno 1915.
[6] Cfr. Relazione del Presidente sull’operato del Comizio nell’anno 1914-15, in “Bollettino C.A.M.” del 15 ottobre 1916.
[7] Cfr. L’agricoltura di fronte alla guerra, in “L’Agricoltore Monregalese” del 2 giugno 1915.
[8] Ibid.
[9] Cfr. Relazione del Presidente sull’operato del Comizio nell’anno 1914-15, in “Bollettino C.A.M.” del 15 ottobre 1916.
[10] Cfr. Problemi di guerra, in “Gazzetta di Mondovì” del 5 giugno 1915.
[11]Cfr. Ianniello Attilio, La Colonia Agricola Provinciale di Mondovì, Acqui Terme, 2012.